Ambasciatore Romano, dopo l’endorsement di Di Maio ai gilet gialli Parigi ha richiamato l’ambasciatore e definito quelli italiani come «attacchi senza precedenti»: non le sembrano toni eccessivi?
Al contrario, ritengo che ciò che hanno fatto gli esponenti dei 5Stelle sia davvero grave. Se il rappresentante di un governo, che ricopre tra l’altro una carica molto importante come quella di vicepresidente del Consiglio, considera i leader di un movimento straniero – talvolta definito come semi-insurrezionale e le cui azioni sono state accompagnate spesso da tale violenza da imbarazzare anche alcuni dei suoi stessi animatori – come propri interlocutori è inevitabile che i rappresentanti delle istituzioni di quel paese si arrabbino. E anche molto. Inoltre, si deve ricordare come tutto ciò accada dopo una lunga serie di screzi che intercorrono tra i due governi.

Ma non si tratta certo della prima controversia che oppone i due paesi…
Certo, ma ora le cose sono diverse. Le faccio un esempio estremo per farle capire come vedo le cose: quando Mitterand dette asilo agli italiani che il nostro paese considerava terroristi noi ci arrabbiamo parecchio, ma tutto sommato quello poteva apparire come un gesto umanitario, seppure con evidenti risvolti politici. Ora, invece, parlare con un rappresentante dei gilet gialli, alla luce di quanto sta accadendo in Francia, è una vera e propria provocazione. E alle provocazioni si reagisce. Ciò detto, la formula utilizzata, il ritiro dell’ambasciatore per consultazioni, non significa certo la rottura delle relazioni diplomatiche ma serve ad evidenziare il grado di malumore che si respira a Parigi.

La sua carriera diplomatica è passata anche per la Francia e qualche anno fa dedicò un volume – «Un’amicizia difficile» (Ponte alle Grazie, 2001), firmato con l’ex ambasciatore in Italia, Gilles Martinet -, proprio alle complesse relazioni italo-francesi. Questa querelle ha un lungo retroterra storico?
Senza dubbio. Se dovessi compilare una lista aneddotica degli scontri tra Italia e Francia degli ultimi decenni, per non dire degli ultimi secoli, avrei diverse pagine da riempire. Perché paradossalmente questi due paesi che hanno lavorato insieme per la costruzione dell’Europa, hanno un cospicuo passato fatto di bisticci e dispetti reciproci: dai tempi della Disfida di Barletta, passando per i Medici e i Savoia, fino a Berlusconi e Sarkozy. Eppure scontri della gravità di quello cui assistiamo oggi non credo abbiano precedenti, se non durante il regime fascista, quando – il 10 giugno del 1940 – l’Italia dichiarò guerra ad una Francia stremata. Quella che i francesi definirono, e non a torto, come «una pugnalata alla schiena» da parte del nostro paese.

Ma, sul piano storico, a cosa si è dovuta questa costante difficoltà?
È davvero una vecchia storia nella quale si intrecciano interessi e mire reciproche. Da qualcosa però si può partire. Nella formazione del loro Stato nazionale, gli italiani hanno potuto godere di un aiuto determinante da parte di Napoleone III che però non riteneva che quello sforzo dovesse legittimare il desiderio di fare di Roma la capitale del paese. Questo perché nell’ottica dei francesi la Città eterna, di epoca papalina, era intangibile politicamente e, soprattutto, doveva continuare a godere di una relazione speciale con Parigi che se ne considerava la protettrice naturale. Da allora, di vicende contraddittorie se ne sono accumulate altre, anche se alla fine si è arrivati ad un cammino comune in chiave europea.

Non crede che quanto accade ora vada però letto anche nella prospettiva delle elezioni europee: i gialloverdi cercano lo scontro con Macron che è l’ultimo leader europeista in sella, visto che Merkel ha già annunciato il ritiro, mentre l’Eliseo si è posizionato su una linea anti-sovranista, quella incarnata da Roma. Le due parti appaiono così come «il nemico ideale» l’una dell’altra.
In parte è sicuramente questo il quadro all’interno del quale va inserito quanto è accaduto. Ma non si deve dimenticare anche l’altro elemento di novità rispetto alla lunga serie di querelle che abbiamo ricordato fin qui. Vale a dire che avvenivano all’interno di «uno spazio» alla cui creazione avevano contribuito sia l’Italia che la Francia: la casa comune europea. Ora, invece, il governo italiano non solo non è interessato a questo progetto comune, ma lo presenta come «una sventura» o «una minaccia». Perciò ritengo che la situazione sia grave. I 5Stelle sostenendo i gilet gialli hanno voluto creare un «casus belli» all’interno della Ue senza curarsi e anzi investendo sulle possibili conseguenze della loro azione. Un tempo ci si sarebbe riconciliati alla luce della comune prospettiva europea. Ma non è quello che vuole l’attuale governo italiano.