Difficile sintetizzare, dopo il fulmine a ciel sereno della sua morte, la poliedricità di Sergio (in arte Alan D.) Altieri. Direttore delle collane da edicola Mondadori (Giallo, Urania, ecc.), sceneggiatore con importanti collaborazioni – due fra tutte: Cimino per L’anno del dragone e Lynch per Blue Velvet – traduttore (Hammett, Lovecraft, e soprattutto Le Cronache del ghiaccio e del fuoco di Martin). E soprattutto narratore di razza, maestro indiscusso del genere apocalittico che aveva declinato nelle forme del romanzo storico e della fantascienza, ma anche della saggistica, con spericolate narrazioni della crisi dell’economia globale sulla webzine Carmilla (diretta da Valerio Evangelisti, suo fraterno amico), Amerikadämmerung (2008) e Death Economy (2011) nelle quali il suo peculiare taglio scritturale, che forzava e sbrecciava la sintassi disseminandone all’interno mine espressive, agiva di concerto con una lettura nichilistica della crisi globale che molto doveva alle analisi dei primi Anni Zero di Sbancor.

FAR ESPLODERE il presente, mandarlo in pezzi, seguirne i relitti in volo, come nella famosa scena di Zabriskie Point: Sergio Altieri lo ha fatto in tutta la sua produzione letteraria, i cui vertici sono due testi solo in apparenza distantissimi, la trilogia Magdeburg, ambientata negli anni 1629-31 della Guerra dei Trent’anni, e la trilogia (il terzo volume uscirà postumo) Terminal War.

In realtà Magdeburg, costata all’autore 15 anni di lavoro, si immergeva, con intento archeologico, in un passato che veniva svelato non solo simile al nostro presente, ma propedeutico alla comprensione del futuro che stiamo costruendo: un futuro narrato, estremizzando e smozzicando la costruzione paratattica per esprimerne l’assenza di relazioni sociali, nei primi volumi della trilogia sulla «guerra conclusiva» Juggernaut e Magellan. Di nuovo, un tempo non-presente che parla di null’altro che dell’oggi, questo presente dominato dal panico sociale, dalla paranoia, dalle più tristi fra le passioni generate da quell’assenza di sicurezza che si determina quando crollano le relazioni sociali che dovrebbero fare argine collettivo, e che sono segmentate dalla macchina del capitale globale che mette a valore la stessa vita.

IN QUESTO SENSO, la lettura dell’intera sua opera ci dice che la «Guerra dei Trent’anni» rappresenta la vera radice del moderno: ne contiene le alternative mancate, quelle che oggi si ripresentano nell’epoca in cui la crisi dello Stato nazionale si dà secondo le modalità proprie dello Stato nazionale, dalle dinamiche della guerra preventiva alla comparsa di istanze sovra o extra-statuali come forme di comando economico. Il tutto, sotto il segno tragico della guerra come dimensione esistenziale, come tragica rivelazione della condizione umana, rispetto alla quale l’autore non assumeva una posizione neutra: Altieri era un combattente, un pugilatore cinico, per il quale il sapere valeva non (solo) per comprendere, ma per prendere posizione. Contro.