Quando nell’aprile del 2015 Sergei Polunin, danzatore ucraino dal magnetismo fuoriclasse, debuttò alla Scala in Giselle insieme a Natalia Osipova, prima ballerina del Royal Ballet di Londra nonché sua futura fidanzata, in sala si respirò più di un brivido. Questione di alchimia fisica e artistica, unita a una naturalezza senza veli che proiettava nelle emozioni del presente l’ottocentesca storia.

Polunin, allora venticinquenne (è del novembre 1989), era una leggenda costellata da scalpori: le dimissioni dal Royal Ballet di Londra, dove era una star a soli 19 anni, le trasgressioni confessate, i tatuaggi rigorosamente coperti di trucco nei balletti classici, esposti a torso nudo nella clip virale girata da David LaChapelle su Take me to Church di Hozier, 22.653.499 visualizzazioni a ieri. Per tutti era il bad boy del balletto, che quando però danzava era irresistibile, complice un virtuosismo di sconvolgente limpidezza.

Polunin pensava che Take me to Church avrebbe coinciso con il suo addio alla danza, voleva fare altro. Non fu così. Tornò a danzare, la sua storia si trasformò in Dancer, il film di Steven Cantor distribuito in questi giorni dalla Wanted Cinema nelle sale italiane di cui abbiamo già parlato da queste pagine, un ritratto che ci svela la persona nell’artista, al di là delle etichette. Polunin ha incontrato il pubblico al Wanted CineClan e all’Anteo di Milano, in occasione del suo film: nessun divismo da star, una sincerità nel porsi che disarma.

«Non dimenticate mai gli affetti» – ha detto sorridendo a un gruppo di giovani ballerini, lui che da ragazzino viveva solo a Londra, sperando nel ricongiungimento della famiglia – «cercate in voi stessi chi siete e cosa volete, siamo tutti diversi». D’altronde come ha detto pubblicamente Carla Fracci a fine film, Sergei «ha una padronanza libera del suo corpo, la sua danza è l’espressività di quello che ha dentro».

Il suo ultimo impegno è il Project Polunin, iniziativa dedicata alla produzione di nuove coreografie, sotto la cui sigla abbiamo visto in prima nazionale al Regio di Parma Satori. Con Polunin danzano nuovamente Natalia Osipova, oltre a solisti del Bolshoj, dello Stanislavskij di Mosca, del Teatro Nazionale di Belgrado, del Balletto del Cremlino. Satori si apre con Polunin in First Solo del giovane coreografo Andrey Kaydanovskiy. Il pezzo si ricollega a uno dei temi chiave del film Dancer: il conflitto tra libertà e prigionia nel rapporto di un danzatore con la propria arte, e qui Polunin è magistrale.

Sckrjabiniana è la riscoperta di un innovatore della danza russa degli anni Venti, Kasyan Goleizovsky, mai visto in Italia, influenzò addirittura Balanchine. Del 1962, è una suite di danze in cui brilla l’intreccio tra eroismo dinamico delle pose e fluidità neoclassica come nel coinvolgente passo a due con Polunin e Osipova e nelle loro variazioni.
Satori, il pezzo conclusivo, trae il titolo da una parola buddista che significa meditazione. È la prima coreografia di Polunin, scene di David LaChapelle. In un paesaggio surreale dominato da un grande albero, Polunin incontra figure in nero che lo tentano e lo opprimono, si rispecchia nella danza di una madre con bambino, sorta di suo alter ego, pieno di gioia nel movimento, trova l’amore in una giovane donna, Natalia Osipova.

Polunin vuole parlarci della vulnerabilità dell’essere umano, e lo fa con coraggio attraverso la sua autobiografia, ma la scrittura è ancora fragile nella elaborazione tra memoria, sentimento e passi, è un tentativo che andrebbe forse ripensato con la collaborazione di un maestro della coreografia, un occhio esterno di esperienza.

Intanto al cinema oltre che in Dancer, lo ritroviamo come attore in Assassinio sull’Orient Express di Kenneth Branagh, nel thriller Red Sparrow di Francis Lawrence con Jennifer Lawrence, sarà Yuri Soloviev, star russa del balletto, nel film The White Crow di Ralph Fiennes dedicato a Nureyev, lo vedremo in The Nutcracker and the Four Realms di Lasse Hallström. Polunin è uno sperimentatore alla ricerca della sua strada. Dalla sua ha quel guizzo verso la libertà che appartiene ai grandi. Speriamo non smetta di regalarlo anche al grande repertorio del balletto.