Anticipato da un singolo programmatico in parte citazione, Aggio perzo ‘o Suonno, segnala il piacevole stato onirico di AmarAmmore, il godibile nuovo album di Neffa, il ritorno alle origini, alle radici musicali partenopee del ragazzo di Scafati, Giovanni Pellino, oggi 54enne, che ha sfilato il nome d’arte a un attaccante paraguayano della Cremonese anni ’80. Un progetto fortemente originale segnato da vocalità antica, assonanze, sintetiche sonorità moderne, reminiscenze di canzoni napoletane. Una dozzina di brani in forma di serenate contemporanee, di ritornelli digitali, di espressività nu soul per questo artista eclettico partito come batterista di un gruppo hardcore punk trenta anni fa e passato attraverso l’estremismo rap, le cantilene hip hip e le intriganti dolcezze pop di una raffica di hit, da La mia signorina (2001) a Prima di andare via (2003) a Lontano dal tuo sole (2009) e molte altre.

RALLENTATO da un periodo di stallo produttivo poi un anno fa la svolta. «È come se fossi stato travolto da un’onda – ha raccontato all’Ansa – in due mesi, tra fine 2019 e inizio 2020, pre-pandemia, ho scritto una trentina di canzoni. Venivano fuori come lava colante, pezzi della mia anima che prendevano forma. Anche per questo ho voluto che la copertina del disco fosse un disegno di mio padre. E se all’inizio pensavo di giocare con il napoletano, ad un certo punto è come se il napoletano mi avesse detto: ora gioco io con te. Mi sono lasciato circondare dalla temperatura emozionale che trasmette la melodia napoletana». «Notte e iuorno te teng ‘nguoll/ comm a ‘na frev ca nun vo passa’/ e troppi suonn aggio fatto me crerev/ troppe cose ca nun erano overe/ aro stong? Je mo nun me trovo/ma serve ‘a voce ca nun vo’ parla’» La scrittura spuria del dialetto (con rimandi, citazioni e inevitabili accostamenti) farà sobbalzare qualche glottologo di professione eppure il canto morbido di Neffa con l’autotune rende quasi incomprensibile il napoletano, carezzevole e suadente, sostenuto da una carica ritmica malinconica per Catene. I campionamenti, il rumorismo cadenzato, la frenesia urban, il buon gusto delle forme espressive s’incontrano con la presenza del giovane portento Rocco Hunt in AmarAmmore, il divo neomelodico Livio Cori in Nn’e Cagnato Niente e l’altro rapper Coez in Aggio Perzo ‘o Suonno, tutti inseriti in uno svolgimento di composizione attuale e sorprendente.

COSÌ GLI ANDAMENTI musicali iterativi segnano Fujevo («te tengo int’ o piett/ te tengo ‘ncapa/ je te tengo int ‘o sanghe/ e m’he a crerere») mentre T’aggia vere’ e Affianc ‘a te nascondono tra i versi il corpus tradizionale di memorie e archetipi d’epoca. L’album certamente insolito, scritto tutto da solo al pianoforte, profuma delle armonie di Murolo e Carosone (qualche anno fa Pellino a Sanremo si era lanciato in un tributo- versione acustica di ‘O sarracino), di sintetizzatori e beatbox rivitalizzati per la grande madre, la canzone napoletana internazionale che dispiega le ali tra una filastrocca pulita e i loop simildub, conservando una propria fantasiosa riconoscibilità. Il tono di voce caldo di Neffa guida tra saliscendi tormentati, minimalismi sonori,«sule chist’ammore che mi dà calore», minacciando di poter diventare i prossimi tormentoni della stagione in arrivo, con quel briciolo di speranza e di allegria in più. «E si nun trovo pace e stongo a fore/ È colpa ‘e chist’ammore/ AmarAmmore».