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Sequenza di morti eccellenti nel Kenya che precede il voto

Sequenza di morti eccellenti nel Kenya che precede il votoNairobi, 30 luglio: partecipanti a un comizio "per la pace" del presidente in carica Uhuru Kenyatta – Reuters

Vigilia avvelenata Torturato e ucciso Chris Musando, manager della commissione elettorale. Ancora un caso che getta ombre sulle elezioni generali dell'8 agosto

Pubblicato circa 7 anni faEdizione del 1 agosto 2017

Fatalismo, afasia e preoccupazione costituiscono questa vigilia elettorale in Kenya. A una settimana dalle elezioni l’esito è sempre più incerto.

Nel frattempo la cronaca ci racconta che l’11 luglio è morto Nicholas Biwott parlamentare e già ministro e tutti hanno pensato «sì era molto anziano», poi il 30 giugno è morto Gg Kariuki parlamentare di Laikipia e anche lui «sì era molto vecchio». La settimana successiva è morto Joseph Nkaissery ministro dell’interno ed «è stato per un malore». Il 30 luglio la residenza del vice-presidente William Ruto è stata assaltata da un gruppo di persone armate che hanno ferito gravemente uno dei soldati di guardia. Qui il caso non è stato più una statistica e molti hanno colto il segnale iniziando a fare scorte alimentari.

Ieri 31 luglio è stato trovato il corpo di Chris Musando, manager della commissione elettorale. Dalle prime analisi risulta essere stato torturato ed era privo del braccio destro. Musando aveva un ruolo cruciale perché sovrintendeva la commissione che gestiva il voto elettronico che nelle ultime elezioni non aveva funzionato in modo corretto. Si era esposto notevolmente per rassicurare gli elettori sulla solidità del sistema di voto elettronico che aveva contribuito a sviluppare: secondo lui «non poteva essere attaccato, né contare voti duplicati».

La preoccupazione si è diffusa ovunque per le strade e negli uffici: sasa ni mbaya (ora va male) e la cronaca rischia di trasformarsi in una bugia che non è ancora stata raccontata.

Quello che prevale è il fattore K che non sta per Kenya, ma per kabila (tribù): dato che tutti sono assetati di potere, che tutti si candidano per i propri interessi voto chi è «dei miei» anche se so che è un incompetente o corrotto. La politica non è partecipazione alla vita pubblica, ma il mezzo per farsi i propri interessi (privati). Non c’è ragione perché qui le persone non appartengono al Kenya, ma al clan: il Kenya è come l’Europa per gli italiani una burocrazia lontana che non ti sarà mai di aiuto. Quando pascoli le capre lungo il lago Turkana e non piove da mesi dov’è il Kenya? Quando vai verso la zona industriale di Nairobi per chiedere di scaricare sacchi e ti mandano via dov’è il Kenya? Quando ti bruciano la casa solo perché sei di un altra kabila dov’è il Kenya? Non c’è e se hai bisogno di aiuto non puoi chiedere agli «stranieri», i keniani che non parlano la tua lingua: il clan è il tuo passato, è il tuo welfare. E dato che c’è il clan non ci sei tu, non c’è la tua responsabilità e se ti offrono 500 scellini per il voto accetti: «Certo che accetto – dice Joab – ci faccio la spesa due giorni». Sì, ma tu non mangi solo due giorni. Ricevi 500 scellini per toglierti tutto quello a cui hai diritto: non ti dà la strada e tutti giorni cammini nel fango, non ti dà l’acqua e tutti giorni la devi comprare e trasportare, non ti dà l’elettricità, non ti dà il lavoro e tutti i giorni devi elemosinare qualche ora di paga. Il Kenya Mpya, il nuovo inizio per il Kenya sa già di molto vecchio.

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