Centomila lavoratori a tempo indeterminato che per durante i mesi estivi non stanno percependo un euro. Sono quelli degli appalti scolastici – pulizie, ristorazione, ausiliariato – spesso dipendenti di cooperative alle quali i comuni o lo stato hanno appaltato questi servizi.

SE A LATINA E FROSINONE va avanti la battaglia per il migliaio di lavoratori bloccati dalla revoca dei bandi e da ditte senza scrupoli che non li pagano da quasi un anno e nel frattempo hanno assunto altre persone, nel resto d’Italia la protesta va avanti sul tema più generale: queste persone – per la gran parte donne – vengono beffate rispetto al diritto agli ammortizzatori sociali. Diversamente dai lavoratori stagionali che con 14 settimane di contributi all’anno possono accedere alla Naspi, loro che di settimane di contributi ne hanno anche 44 l’anno non hanno alcuna forma di integrazione al salario nei mesi estivi. La ragione è molto semplice: si chiama «interruzione estiva». I loro contratti sono a tempo indeterminato ma prevedono lo stop quando le scuole sono chiuse – fine giugno, luglio, agosto, primi di settembre.

UN PROBLEMA DA TEMPO sollevato ma mai risolto. «C’è una disparità evidente di trattamento tra i lavoratori stagionali e quelli degli appalti scolastici che nei mesi estivi non vedono riconosciuti nemmeno gli assegni familiari», rileva Giorgio Ortolani, segretario della Filcams di Brescia che ha denunciato «la situazione anche in un video fatto assieme a Fisascat e Uiltucs, spedito a luglio al presidente del consiglio Giuseppe Conte, al ministro del lavoro Di Maio e a tutti i parlamentari».

NEL VIDEO LA DENUNCIA dei mancati stipendi estivi è unita ad un’altra beffa subita dai lavoratori degli appalti scolastici. Si tratta dei contributi previdenziali riconosciuti dall’Inps ai cosiddetti «part-time ciclici». L’istituto di previdenza sociale infatti discrimina chi lavora a tempo ridotto verticale: se per i mancati stipendi estivi non si prevede alcun contributo previdenziale, anche per i restanti mesi i contributi sono riconosciuti in maniera minore, mentre la discriminazione non avviene per i part time orizzontali, coloro che lavorano poche ore al giorno ma continuativamente. La differenza per l’Inps sta nella differenza tra «prestazione effettiva di lavoro» per il part time orizzontale continuativo e «mancata prestazione effettiva di lavoro» nel part time verticale con decurtazione percentuale dei contributi per questi ultimi. «Abbiamo calcolato che un lavoratore a part time verticale degli appalti scolastici è costretto a lavorare almeno il 25 per cento in più degli altri lavoratori per aver accesso alla pensione», denuncia Ortolani.

UNA DISCRIMINAZIONE riconosciuta dalla Corte di giustizia europea con la sentenza del 21 gennaio 2010 – ben otto anni fa – visto che una direttiva della commissione tutela i lavoratori part time e impone ai vari stati di trattarli come gli altri a livello previdenziale. Proprio facendo leva su questa sentenza, i sindacati hanno deciso di appoggiare azioni legali da parte dei lavoratori per vedersi riconosciuti dall’Inps i contributi non pagati. «Nella sola Lombardia abbiamo già vinto 19 cause contro l’Inps che è stata sempre condannata a pagare risarcimenti per contributi non pagati per anni – ricorda Ortolani -. E ora circa 2.300 lavoratrici hanno deciso di fare lo stesso dando mandato al sindacato di promuovere vertenza». Filcams Cgil, Fisascat Cisl e Uiltucs della Lombardia stimano «il costo solo per le spese di lite a carico dell’Inps pari a oltre 9.200 euro per i 3 gradi di giudizio per ogni vertenza pari a 21,6 milioni di euro complessivi» e nel video chiedono «a governo e il Parlamento di prendere rapidamente un provvedimento nel senso indicato dalla Corte di Giustizia Europea per evitare ulteriori aggravi».

SECONDO I SINDACATI infatti «il presidente dell’Inps lombardo ha ammesso di essere costretto a resistere in appello e cassazione nonostante sappia benissimo di perdere».

Sulla questione qualche passo in avanti è stato fatto. Durante l’audizione parlamentare sul decreto Dignità alcuni deputati hanno sollevato il problema con il presidente Inps Tito Boeri che si è detto «consapevole del problema» scaricando sul governo la responsabilità di risolverlo con un provvedimento legislativo. La speranza era che si potesse intervenire proprio in sede di conversione del decreto dignità, ma la spinta della protesta dei sindacati ha prodotto comunque un risultato. Un ordine del giorno approvato dalla Camera che «impegna il governo a valutare l’opportunità di intervenire in sede di legge di bilancio per porre fine all’evidente iniquità tra i soggetti utilizzati nell’una o nell’altra tipologia di part time a parità di prestazione d’opera settimanale». Guardinghi comunque i sindacati: «Siamo fiduciosi anche perché tra i proponenti c’è il sottosegretario al lavoro Cominardi (M5s) che è di Brescia e conosce da tempo la questione, ma comunque nel frattempo andiamo avanti con le cause», chiude Ortolani.