Da una settimana sul tetto. Giorno e notte. Per dormire e per mangiare. E con nessuna intenzione di muoversi da lì. Anzi, attraverso un comunicato, diffuso ieri e inviato anche all’arcivescovo Salvatore Gristina, i lavoratori dell’Anfe di Catania hanno rilanciato: «Nelle prossime ore ci incateneremo e intraprenderemo azioni clamorose».
L’Anfe è un ente di formazione per lavoratori, disoccupati, cassintegrati, finanziato con fondi pubblici (regionali): ha sedi in tutta Italia, ma in Sicilia è stato coinvolto in uno scandalo finanziario e in una conseguente inchiesta giudiziaria che ora purtroppo stanno pagando soprattutto i dipendenti.
Del resto, le ragioni per protestare, gli oltre cento lavoratori dell’Anfe le hanno tutte: non prendono uno stipendio da oltre un anno e il futuro, visto dal loro accampamento che dà sui tetti di Catania, non riserva nulla di buono.
Tutto inizia con l’inchiesta della magistratura che ha terremotato il settore della formazione a Catania chiudendo i rubinetti delle risorse pubbliche a ben quattro enti del catanese e portando all’arresto di una decina di persone, tra cui l’ex presidente dell’Anfe, l’imprenditore e leader dei gestori degli stabilimenti balneari Giuseppe Saffo. Ma anche di sua moglie, suo nipote e persino di una funzionaria dell’ufficio provinciale del lavoro.
E dunque, cosa fare? «Chiediamo che venga applicato l’articolo 5 della legge 207», spiega Laura Bonifacio, una lavoratrice che partecipa alle proteste. Che, tradotto, significa venire pagati direttamente dalla Regione senza che le risorse (al momento bloccate) passino dall’ente.
La sede dell’ente, in questi giorni, è un viavai di cittadini: «Vengono a portare solidarietà – racconta ancora Laura – ieri sera è persino venuto il ragazzo del pronto pizza e ci ha recapitato un po’ di pizze. Gratis».
Piccoli, spontanei gesti di solidarietà che però non bastano ad alleviare il senso di disperazione e di impotenza: «Giornata schifosa – si sfoga Laura – neanche un euro nel telefono. Mio figlio a Roma fa il compleanno e io ho dovuto fare gli auguri per mail».
Sfoghi, che come sempre più spesso accade, vengono consegnati al web, a Facebook, dove la lettera di Francesca, quindici anni, figlia di un dipendente Anfe, sta rimbalzando di bacheca in bacheca: «Tutto quello che mi rimane è studiare e guardare avanti, anche se ogni passo che faccio sembra un passo verso il burrone; ma vedete io non voglio cadere né voglio vedere crollare qualcuno che fa parte del mio nucleo familiare, quindi ridatemi la mia adolescenza, ridate il sorriso alla mia famiglia perché adesso tutto questo nero mi fa credere che il grigio sia davvero un bel colore».