La Commissione Europea ha presentato le previsioni economiche per il 2013 e il 2014, modificando in peggio tutti i principali indicatori pubblici e privati.
Avete presente la storiella dell’ubriaco che sta cercando le chiavi sotto il lampione? Il vigile che passa gli chiede: «Ma le hai perse proprio qui?»; «No, le ho perse un po’ più in la, ma qui c’è più luce!».
Possiamo utilizzare la storiella sia per il governo Letta, sia per la Commissione Europea. La crescita economica dell’Europa e dei Paesi di area euro «dovrebbe» arrivare verso la fine dell’anno, o al massimo all’inizio del prossimo. A conti fatti, però, la crescita del Pil dell’Europa per il 2013 è pari a zero, mentre per l’area euro è addirittura negativa dello 0,4%. Il 2014 sarà l’anno della svolta: il Pil dovrebbe salire dell’1,4%, ma sempre con la solita postilla: «Il risanamento di bilancio e le riforme strutturali attuati in Europa hanno creato i presupposti per la ripresa, ma è troppo presto per cantare vittoria, perché la disoccupazione rimane a livelli inaccettabili …».
La postilla serve a ricordarci che gli aggiustamenti di bilancio (in corso) in alcuni Paesi hanno inciso negativamente sugli investimenti e sui consumi, mentre il cosiddetto miglioramento del servizio del debito non ha prodotto dei vantaggi attesi sull’economia reale.
La disoccupazione nei migliori dei casi rimarrà stabile, mentre l’occupazione diminuisce. Ma sul punto occorre ricordare che allargando il tasso di disoccupazione ufficiale agli inoccupati, comunque disponibili a lavorare, il tasso di disoccupazione reale europeo sarebbe prossimo al 17%, cioè una soglia che John Kenneth Galbraith definiva come punto di non ritorno.
La minore crescita del Pil condiziona tutti i saldi di bilancio pubblico dei Paesi europei. In generale fa specie osservare l’indebitamento pubblico del 3,5% per il 2013 e il 2,7% del Pil per il 2014 dell’Europa, rispetto all’indebitamento degli Usa del 6,4% del Pil. Negli Usa il Pil cresce dell’1,6% per il 2013 e del 2,7% per il 2014. Forse la spesa pubblica in fasi di crisi come quella che attraversiamo non è proprio sbagliata. Possiamo sostenere che gli Stati Uniti sono un Paese liberista, ma non ubriaco.
Per l’Italia le previsioni economiche di crescita, come quelle dei saldi pubblici, sono tutti peggiori di quelli indicati dal governo Letta. Saccomanni non dovrebbe arrabbiarsi. Le condizioni macroeconomiche del Paese non giustificano le positive aspettative del governo. La Legge di Stabilità, così come il Documento economia e finanziario (Def), hanno una solidità pari a quella del rischio idrogeologico dell’Italia; avanzi primari dell’ordine di 50 miliardi di euro riducono la domanda aggregata per un valore moltiplicato. In questi casi si usa dire che il demoltiplicatore è molto più efficace del moltiplicatore.
L’indebitamento previsto dalla Commissione Europea per il 2013 è in linea con quello previsto dal governo Letta. Un obbiettivo raggiunto grazie a una ulteriore manovra correttiva di 2 miliardi. Per il 2014 tutte le previsioni della Commissione sono diverse e peggiori di quelle del ministro Saccomanni. Per esempio la crescita del Pil per il 2014 è prevista allo 0,7%, mentre il governo la posiziona all’1%; l’indebitamento netto è al 2,7% contro il 2,5% del ministro dell’economia, mentre la riduzione del debito è una invenzione se non subentra una robusta crescita del Pil.
In qualche modo la Commissione ha svelato la precarietà dei conti pubblici italiani, ma presso il ministero non credo che avessero delle idee molto diverse.
I richiami della Commissione al parlamento italiano sono invece insopportabili, ma il vincolo di pareggio di bilancio inserito in costituzione, per quanto assurdo possa sembrare, è ancor più stringente.
Speriamo che accendano altri lampioni nel frattempo.