Al Consiglio europeo del 28 e 29 giugno i Governi hanno perso l’occasione storica di riformare il Regolamento di Dublino e dare sostanza al principio di solidarietà, decidendo ancora una volta di non decidere. O meglio, hanno trovato accordo solo su due cose: sull’esternalizzazione delle frontiere, una strada vigliacca e pericolosa intrapresa da tempo con l’unico risultato di violare diritti altrove.

E aprire così nuove rotte sempre più pericolose verso i Paesi di confine. E pure sull’attacco alle Ong che salvano vite in mare, intimando loro di non disturbare l’azione della Guardia costiera libica, che viola costantemente i diritti fondamentali dei migranti e ne mette a rischio la vita, come denunciato persino dalle Nazioni unite.
Nelle conclusioni del Consiglio non c’è traccia di una soluzione europea basata sulla condivisione delle responsabilità tra tutti gli Stati, non c’è alcun obbligo di ricollocamento ma solo solidarietà volontaria, eventuale e rimandata a future intese bilaterali, che non ha mai funzionato e consente a chi si è sempre sottratto ad ogni responsabilità sull’accoglienza, di continuare a farlo.

Si rimanda la fondamentale riforma del regolamento di Dublino, l’unica in grado di garantire vera solidarietà europea, mettendo nero su bianco che si vuole trovare un’intesa all’unanimità, rischiando così di mettere una pietra tombale sulla riforma e ignorando quella proposta dal Parlamento europeo a larghissima maggioranza. Così vincono i nazionalismi, ma perde l’Unione.

Non è un caso che i primi a festeggiare siano stati Orbán e i suoi sodali: il premier polacco Morawiecki ha commentato soddisfatto l’esito del vertice, dicendo che l’Unione europea ha finalmente adottato la linea dei Paesi Visegrad.

Ed è proprio l’inerzia, l’incapacità di visione comune e di mettere in campo soluzioni europee, che sta rafforzando l’asse nazionalista e spalancando le porte al rigurgito fascista nei nostri Paesi.
La debolezza dell’intesa raggiunta venerdì scorso è stata subito chiara, quando a poche ore dalla firma i leader europei hanno cominciato a litigare sull’interpretazione del testo.

E così Macron, che non manca anche in questa occasione di mostrare quanto di facciata sia il suo sbandierato europeismo, si è affrettato a chiarire che uno dei punti fondamentali dell’intesa raggiunta nella notte al Consiglio – i centri «controllati» per migranti in Europa da istituire anch’essi su base volontaria – si faranno nei Paesi di primo arrivo, ma non in Francia.

Del resto nemmeno Conte, che ha smentito Macron dicendo che «era stanco», è riuscito a celare la disfatta della sua prima volta al Consiglio europeo. Sono partiti ‘battendo i pugni sul tavolo’ e tornati a casa a mani vuote, rinunciando a tutti gli obiettivi annunciati alla vigilia del vertice, in cambio di vaghe promesse d’intesa, sulle quali stanno già litigando. Sull’assurda idea dal vago sapore colonialista di creare hotspot nei Paesi fuori dall’Unione europea, ci hanno già pensato Tunisia, Libia ed Albania a rispondere «no grazie».

Ma anche la cancelliera tedesca esce dal Consiglio europeo indebolita. Merkel, che su questo tema rischia la tenuta del suo governo per via delle tensioni con gli storici alleati della Csu, è riuscita a portare a casa un paragrafo delle Conclusioni che impegna i Governi ad una stretta sui movimenti secondari, e cioè dei richiedenti asilo che si spostano dal Paese di primo arrivo attraverso i confini, e che ai sensi del Regolamento di Dublino possono essere rimandati indietro. Ma questo non è bastato al ministro Seehofer che minaccia dimissioni.

Dopo questo disastroso vertice è ancor più chiaro che con questi leader l’Unione non si sarebbe nemmeno mai fatta. La battaglia però non è finita: facendoci forti della maggioranza che al Parlamento europeo ha votato per un meccanismo permanente e automatico di ricollocamento e della straordinaria mobilitazione di migliaia di persone in 173 piazze europee mercoledì scorso, dobbiamo continuare ad insistere perché tutti i Governi europei facciano la propria parte sull’accoglienza, cambiando Dublino e aprendo vie legali e sicure d’accesso in tutti i Paesi dell’Unione.

Dobbiamo continuare la battaglia per la solidarietà europea, nelle istituzioni e fuori, e prepariamoci perché temo sarà lunga.
* eurodeputata di Possibile