Sul rapporto tra mondo rurale e gestione degli incendi val la pena citare un passo di Mario La Cava, scrittore calabrese con il cuore e la mente nel mondo contadino: «I campi coltivati, però, i campi delle colline e delle pianure, si salvavano sempre. Li salvavano i contadini con i loro lavori continui, con le loro arature che distruggevano le erbe secche e gli arbusti che avrebbero potuto dare alimento al fuoco, appena si fosse presentato: lo fermavano subito con la loro vigilante attenzione». Questa straordinaria analisi dello scrittore/contadino Mario La Cava è non solo attualissima, ma coglie i punti nodali della questione incendi. La prima questione riguarda il fatto che le nostre campagne e foreste si sono spopolate progressivamente dagli anni ’50 del secolo scorso. Una presenza che assicurava quei lavori di manutenzione che impedivano a un eventuale incendio di propagarsi. La seconda questione, legata alla precedente, lo scrittore calabrese la riassume in una battuta fulminante: «Lo fermavano subito con la loro vigilante attenzione». Nessuno si illudeva, neanche a quel tempo, che gli incendi si potessero evitare, ma essi si potevano bloccare «subito», sul nascere, grazie a una «vigilante attenzione».

È da quest’ultima considerazione che chi scrive è partito, in qualità di presidente del Parco Nazionale dell’Aspromonte, per contrastare questo insopportabile fenomeno non naturale, ma legato a dinamiche sociali e economiche che ben conosciamo.

Non è accettabile, mi sono detto, che un Parco nazionale perda mediamente ogni anno circa mille ettari tra aree boschive e non. Da questa considerazione è nata l’idea di stipulare, con associazioni e cooperative, dei contratti di « responsabilità sociale e territoriale» che premiavano, in termini economici e morali, chi riusciva a mantenere la superficie bruciata sotto la soglia dell’uno per cento della superficie data in adozione. Viceversa, chi la superava poteva perdere fino al 50 per cento del valore del contratto. Il bando non prevedeva nessuna gara al ribasso, ma ad ogni associazione/cooperativa veniva assegnato un tot di ettari di terreno, in base alla loro disponibilità, conoscenza del territorio, curriculum. Il principio è simile a quello dell’adozione di un bambino: l’assunzione di responsabilità. Alle associazioni/cooperative che si dimostravano incapaci non veniva rinnovato il contratto l’anno successivo. Si iniziava a giugno e si finiva a settembre e i soggetti che avevano raggiunto i migliori risultati venivano premiati con una festa in piazza Duomo a Reggio.

Nell’estate del 2001, mentre divampavano gli incendi in tutta Italia, il Parco dell’Aspromonte ne risultava pressoché immune. Stesso scenario si ripeté nel 2003, quando tutta l’Europa del Sud fu attraversata da una anomala ondata di calore che nella sola Francia causò 25 mila vittime, e dalla Grecia arrivando fino al Portogallo gli incendi fecero danni che non si erano mai visti per dimensione e durata del fenomeno. Nessuno era riuscito a bloccare gli incendi, ma la presenza sul terreno di personale fortemente motivato aveva fatto sì che nella maggior parte dei casi gli incendi venivano bloccati sul nascere. Il Parlamento siciliano che ne discusse in una seduta dedicata per concludere che non si poteva fare, altrimenti gli operai idraulico-forestali restavano senza un ruolo.

Il 25 gennaio del 2005 mi convocò a Bruxelles la Commissione Ambiente della Ue, settore gestione risorse forestali. All’incontro parteciparono esponenti di Grecia, Francia, Spagna e Portogallo. Ci fu una grande attenzione rispetto al modello Aspromonte, però non ci fu un seguito, eccetto qualche sindaco e presidente di Parco che mi hanno scritto dalla Spagna e dal Centro-Nord Italia, oltre al Parco del Pollino, che ha adottato con successo per anni questo metodo .

Nel 2007 venni chiamato dall’allora presidente della Regione Calabria, Agazio Loiero, che mi volle affidare l’incarico per proseguire questa esperienza a livello regionale. Mi propose subito un contratto di consulenza, ma non mi dette garanzie in merito alla struttura né alle risorse finanziarie che la Regione avrebbe messo per questo scopo. Tenendo presente che, secondo i dati della Forestale, ogni cinque anni il 50% degli incendi colpisce le stesse aree, è possibile selezionare le aree da proteggere con questo criterio. Feci un rapido calcolo e rispetto a quello che spendevamo al Parco nazionale dell’Aspromonte, per estendere il modello al resto del territorio regionale occorrevano circa due milioni di euro. Non una grande cifra rispetto a quello che viene speso per elicotteri e Canadair, che per giunta hanno buttato negli anni tonnellate di acqua salata sulle nostre colline. L’allora direttore generale della Regione Calabria insistette perché io firmassi un contratto di consulenza comunque, cosa che non feci perché avrei potuto combinare nulla senza personale e risorse finanziarie adeguate.

Il metodo Aspromonte, basato sui contratti di responsabilità sociale e territoriale, non è la panacea per impedire che piromani, criminali o semplici pastori brucino terreni siccitosi in cui basta una scintilla per creare un disastro. Non è un metodo infallibile per spegnere gli incendi quando nascono, ma quando viene applicato correttamente può contribuire a ridurre vistosamente le superfici attraversate dal fuoco. Perché allora non viene adottato dovunque? Se non va bene, proviamo con qualche altra misura adeguata a contenere l’avanzata del fuoco. Gli incendi si possono prevenire solo in piccola parte, ma bisogna spegnerli sul nascere.