Altro che ripresa, i dati diffusi ieri dall’Istat e dal Cnel sul nostro mercato del lavoro sono da guerra mondiale. Il tasso di disoccupazione è ancora in crescita (in agosto è salito al 12,2%) e quello giovanile sfonda quota 40% (arrivando al 40.1%). Senza contare i precari, che un lavoro ce l’hanno ma assolutamente di fortuna e spessissimo malpagato, a termine o parasubordinato: sarebbero, almeno stando ai rapporti ufficiali, quasi tre milioni. Un quadro simile non si vedeva dal 1977, e certamente non rasserena: anzi conferma le preoccupazioni di sindacati e imprenditori sull’incertezza del momento politico e l’urgenza di un qualche tipo di riforma che ridia fiato all’occupazione.
Eccoli, dunque, i numeri del disastro. Come detto, la disoccupazione ha raggiunto in agosto quota 12,2% (in crescita dello 0,1% rispetto a luglio e dell’1,5% rispetto a un anno prima). I disoccupati sono 3 milioni 127 mila, in aumento dell’1,4% rispetto a luglio (+42 mila) e del 14,5% rispetto a un anno fa (+395 mila). Questo secondo l’Istat. E’ utile integrare subito alcune cifre del rapporto Cnel, diffuso anch’esso ieri, che parla di una perdita di 750 mila posti negli ultimi 5 anni, e un aumento di disoccupati di 1 milione di unità (ma due milioni in più sono le persone in «difficoltà occupazionale», ovvero chi non è disoccupato ma per svariati motivi, dalla cassa alla mobilità, ha un posto traballante e incerto). Anzi, sarebbe stato proprio il massiccio ricorso alla Cig, secondo il Cnel, a evitare numeri esponenziali: se infatti si fosse seguito letteralmente l’andamento del Pil, senza ammortizzatori e correttivi, avremmo oggi un bilancio negativo molto più pesante, pari a 1.870.000 posti persi (quindi oltre un milione in più rispetto al dato effettivo).
Poi un calcolo interessante, che da solo ci fa capire a che punto siamo:il Cnel stima che per riportare entro il 2020 il tasso di disoccupazione ai livelli pre-crisi, ovvero all’8%, dovremmo avere un tasso di crescita del Pil superiore al 2% annuo. Una prospettiva certamente irrealistica, visto che ormai si dubita perfino per la famosa «ripresa» attesa nel 2014: ieri il presidente della Confindustria Giorgio Squinzi notava che se non si ristabilisce una stabilità politica e soprattutto un efficace azione di governo che aggredisca la crisi, l’Italia rischia di ripiombare in piena recessione.
Ma a preoccupare più di tutto è il dato macroscopico della disoccupazione giovanile: il tasso riferito ai 15-24enni ha infatti ormai superato la soglia psicologica del 40%, anch’esso un record. Peggio di noi fa solo la Spagna, con il 56%, ma probabilmente sarebbe a sua volta superata dalla Grecia, di cui manca il dato di agosto (in giugno era al 61,5%). Nell’Eurozona la disoccupazione giovanile è al 23,7%. La più bassa è in Germania (7,7%) e in Austria (8,6%). Meno drammatici, i dati europei, anche sul piano generale: Eurostat registra per Eurolandia un 12%, invariato rispetto al mese precedente; anche nella Ue a 28 il tasso di disoccupazione è rimasto stabile, al 10,9%. I disoccupati sono 26,6 milioni in tutta Europa, di cui 19,178 nell’Eurozona. Pessimisti sui giovani anche i calcoli della Confesercenti: «In meno di tre anni – dice l’associazione dei commercianti – hanno perso l’attività più di 60 mila giovani imprenditori del commercio e del turismo. Il mercato è difficilissimo e con l’aumento dell’aliquota Iva le cessazioni sono destinate ad aumentare».
Guardando gli occupati, il dato appare speculare: diminuiscono, come aumentano i disoccupati. Ad agosto gli occupati sono 22 milioni 498 mila, sostanzialmente invariati rispetto al mese precedente ma in diminuzione dell’1,5% su base annua (-347 mila). Il tasso di occupazione, pari al 55,8%, rimane invariato in termini congiunturali e diminuisce dello 0,8% rispetto a 12 mesi prima.
Infine un dato che viene dal ministero del Lavoro, e che certifica che ormai sono ben poche le nuove assunzioni attivate a tempo indeterminato: poco più del 15%. Secondo le comunicazioni obbligatorie del ministero, infatti, ben il 69,3% delle assunzioni effettuate nel secondo trimestre 2013 è stato formalizzato con contratti a termine (1.741.748 unità su oltre 2,5 milioni), il 15,4% con contratti a tempo indeterminato (386.142 unità) e il 5,9% con contratti di collaborazione (149.259 unità). I contratti di apprendistato sono stati appena 67.952, il 2,7% del totale.