«Un no che ci solleva». L’ambasciatore svizzero a Roma, Giancarlo Kessler, non nasconde il timore vissuto dal Paese elvetico in queste ultime settimane. Onore alla Svizzera, però, visto che il 74,1% della popolazione ha bocciato sonoramente l’iniziativa Ecopop denominata «Stop alla sovrappopolazione – sì alla conservazione delle basi naturali della vita», che chiedeva di limitare allo 0,2% la crescita della popolazione immigrata. E in un Paese che accoglie percentualmente il maggior numero di immigrati in Europa, come testimoniano i dati diffusi proprio ieri dall’Ocse.

Se avesse vinto il sì al referendum proposto da un comitato di strani ecologisti e di femministe, poco identificabile in termini di schieramenti politici, il numero di immigrati, frontalieri compresi, si sarebbe dovuto fermare l’anno prossimo a 17 mila unità. Una soglia impossibile, visto che nel 2013 il saldo migratorio si è assestato a 87 mila persone. Domenica, in Svizzera, poco meno del 50% degli aventi diritto si è recata alle urne ma a dire no, questa volta, sono stati anche tutti i cantoni, compreso il Ticino (anche se con la percentuale minore: il 63,1%), dove la pressione dei lavoratori italiani è forte e sentita.

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Ambasciatore, come mai i cittadini svizzeri hanno detto sì alla limitazione dell’immigrazione proposta col referendum del 9 febbraio mentre questa volta la bocciatura è stata così netta?

Le due iniziative hanno origini completamente diverse: quella del 9 febbraio era proposta da ambienti conservatori che combattono l’immigrazione mentre Ecopop era sostenuta soprattutto da ecologisti che pensavano di dare così una risposta ai problemi dello sviluppo sostenibile. Chiaramente siamo sollevati che sia stata respinta a grande maggioranza, perché non era una buona risposta ai problemi migratori e in più la proposta di controllo delle nascite, soprttutto nei paesi extra europei, era molto discutibile. Inoltre non avrebbe contribuito allo sviluppo economico della Svizzera perché metteva limiti molto stretti e difficilmente osservabili. Detto questo, comunque il risultato non ci toglie dall’impaccio di dover applicare l’articolo costituzionale approvato dal popolo il 9 febbraio che pone dei limiti generici all’immigrazione, non draconiani come nell’iniziativa Ecopop, ma impone anche, per esempio, la preferenza ai cittadini svizzeri sui posti di lavoro. Si aprono quindi problematiche chiare sulla libera circolazione, oggetto di accordi con l’Unione europea.

I dati dell’Ocse diffusi ieri dicono che la Svizzera è in cima alla classifica europea con 125.600 migranti accolti nel 2012, pari all’1,6% della popolazione. Lo sviluppo economico elvetico, oggi come 40 anni fa, è legato alla manodopera degli immigrati?

Direi che da sempre quella svizzera è una economia aperta. Per arrivare all’odierna prosperità ci siamo sempre avvalsi di forze estere. Chiaro che in un mondo globalizzato la percentuale aumenta. Ma se 40 anni fa gli immigrati contribuirono a far crescere l’industria o a costruire le grandi opere, per esempio, idroelettriche, oggi si tratta perlopiù di personale ad alta specailizzazione che lavora nell’industria di punta o nei servizi. Dunque la Svizzera, che ha sempre accolto e vive di immigrazione, oggi vuole continuare a cogliere questa opportunità che le permette gli attuali livelli di eccellenza. Le faccio un esempio: nelle scuole politecniche federali, che sono considerate le migliori del mondo, la metà degli studenti qualificati per un master o per un dottorato, e gli stessi professori ad alti livelli, sono stranieri.

Quali problemi comportano i lavoratori frontalieri in Ticino, e quali conseguenze ha il referendum del 9 febbraio su di loro?

L’articolo del 9 febbraio impone di regolare l’afflusso di immigrati in funzione dei bisogni dell’economia, compresi anche i frontalieri. Quindi la questione è chiara: bisognerà regolare anche questo tipo di lavoratori, che sono italiani, ma anche francesi e tedeschi. Al di là di un partito -– la Lega dei ticinesi – che fa un’amalgama di concetti e ha fatto dei lavoratori frontalieri italiani la fonte di tutti i problemi del Ticino, però è un fatto che si tratta di un piccolo cantone di 300 mila abitanti incastonato nella Lombardia, con un bacino di utenza di milioni di persone. E sui lavoratori ticinesi, vista la concorrenza dei vicini, c’è una forte pressione. Quindi il salario medio è più basso che nel resto della Svizzera. D’altra parte queste persone lavorano regolarmente e ci sono industrie e servizi che approfittano della presenza di questi lavoratori. Quindi anche il canton Ticino deve decidere che tipo di sviluppo vuole e poi accettare le conseguenze del libero mercato.