Islamologo e politologo francese, Vincent Geisser è ricercatore assegnato all’Institut de Recherches et d’Etudes sur les Mondes Arabes et Musulmans (Iremam) a Aix-en-Provence in Francia ed è uno dei massimi esperti di Tunisia e mondo arabo. Ha curato, insieme ad Amin Allal, il volume Tunisie, une démocratisation au dessus de tout soupçon?

La Tunisia celebra oggi i dieci anni della Rivoluzione dei gelsomini. Che tipo di anniversario stiamo vivendo?

Innanzitutto ci troviamo di fronte a una banalizzazione degli anniversari. Lo ricordiamo più noi giornalisti e ricercatori. Il sentimento comune rimane comunque molto sfumato. Il decimo anniversario non verrà vissuto come una liberazione dal fascismo o dal nazismo. C’è una tale sfiducia nella popolazione che sarà una celebrazione vissuta come una sorta di cordoglio, di ricordo della sofferenza, della disillusione e della coscienza di essere usciti dal processo rivoluzionario. Chi ha partecipato alle proteste ha fatto un bilancio che può essere riassunto come l’anniversario della collera. Verranno pianti i martiri della rivoluzione ma questo si tradurrà e si traduce già oggi attraverso movimenti di protesta.

Quali sono i motivi di questa collera?

Dobbiamo fare una distinzione. C’è stato un doppio standard nel processo di democratizzazione. Ci sono stati i progressi istituzionali, come la promulgazione di una nuova costituzione, di un parlamento e di un governo. Abbiamo avuto delle elezioni che sono tra le più pluraliste nella regione araba e mediterranea. Abbiamo però anche un altro livello di analisi che è la democrazia sociale. Questa non si è realizzata e ha creato un profondo malessere nei tunisini che pensavano che la democrazia fosse sinonimo di impiego, di scuole e ospedali. La democrazia ha portato le libertà personali e i diritti dell’uomo, ma nelle rivendicazioni delle piazze c’era anche la giustizia sociale. Tutte le manifestazioni e proteste mostrano che il popolo tunisino non nota un deficit democratico. C’è una dissonanza tra la consolidazione della democrazia istituzionale e la questione sociale che oggi, come ai tempi di Ben Ali, non è stata risolta.

 

Tunisi, dicembre 2010 (Ap)

 

Recentemente ha affermato che la Tunisia è «una giovane democrazia ma con molti tratti della vecchia». Può spiegarsi meglio?

Volevo dire che ci sono più modi di guardare il Paese. Abbiamo una giovane democrazia che fatica a superare i retaggi autoritari e l’eredità del regime di Ben Ali. Ma abbiamo anche una seconda visione, cioè che queste tendenze autoritarie che vediamo oggi in Tunisia sono simili all’evoluzione delle democrazie su scala internazionale. Questa forma ibrida di «autoritarismo democratico» o «democrazia autoritaria» l’abbiamo vista in paesi con una forte tradizione democratica come l’Italia o in Francia, dove ci dimentichiamo di dire che nel paese della laicità abbiamo uno dei partiti di estrema destra più forti in Europa. Dieci anni dopo la rivoluzione, la vera domanda da porci è la seguente: siamo in un autoritarismo che semplicemente è un’eredità della dittatura di Ben Ali o è la democrazia su scala internazionale che è in crisi?

La dittatura rischia di tornare in Tunisia?

Non dobbiamo confondere la nostalgia di uno Stato forte con la nostalgia di una dittatura. La Tunisia è un paese di Stato e servizi pubblici. I cittadini più deboli si aspettavano molto dal potere centrale in termini di redistribuzione. Oggi la nostalgia di uno Stato forte è anche la nostalgia non solo di Ben Ali, non solo della dittatura, ma anche di uno Stato redistributore. Oggi in Tunisia abbiamo forti livelli di corruzione e liberalismo. Tutto questo provoca delle fratture di stanchezza e disillusione a cui dobbiamo fare molta attenzione.

 

Gennaio 2011, gigantografia di Ben Ali strappata nel centro di Tunisi (Ap)

 

Le ultime elezioni del 2019 hanno confermato il ruolo del partito islamista Ennahda ma ci sono state anche delle sorprese. Due fra tutti Abir Moussi, donna di fiducia dell’ex presidente Zine El Abidine Ben Ali e Nabil Karoui, già soprannominato «il Berlusconi tunisino». Qual è la situazione dei partiti oggi rispetto al 2011?

Democrazia non significa solo l’arrivo di persone che hanno partecipato alla rivoluzione ma anche di chi ha tendenze totalmente opposte. Negli ultimi due anni la Tunisia ha marginalizzato gli oppositori democratici in favore di tre tipi di populismi: un populismo identitario, degli islamisti portatori di valori ultraconservatori; uno liberale fondato sui principi della carità, mi riferisco al partito di Karoui Qalb Tounes, che è di tipo comunicativo e televisivo; e il terzo è un populismo neo autoritario e nostalgico che è quello di Abir Moussi. Potremmo aggiungerne un quarto incarnato dal presidente della Repubblica Maïs Saïed, che gioca sull’ordinarietà e sul «sono come e con il popolo». La riflessione che dobbiamo fare sulla democrazia tunisina è che non ha portato a un ritorno al vecchio regime ma ha fatto emergere delle forze che hanno dei rapporti molto ambigui con la democrazia. Non siamo di fronte a un ritorno del vecchio regime, siamo in un contesto che può sembrare paradossale ma che favorisce le forze populiste autoritarie.