Il Quantitative easing nell’eurozona per il momento non fornisce i risultati attesi o sperati. A dir la verità la politica monetaria ultra-espansiva non ha brillato per risultati neppure altrove. Preoccupa poi il momento in cui si deciderà di porvi termine, infatti è stata paragonata a una droga a cui l’individuo progressivamente si abitua, diventandone sempre più dipendente. Il fatto che il Qe sia stato sospeso negli Usa, come si vedrà, non implica che l’economia americana non approfitti dei vantaggi forniti dai Qe di altri paesi. Nell’eurozona, a un anno dal varo di acquisti di titoli a colpi di 60 miliardi al mese, la Bce ha provato ad addrizzare ulteriormente il tiro dato che l’obiettivo di un tasso d’inflazione al 2% si era rivelato assai lontano dall’essere raggiunto.

A marzo si è deciso di rafforzare il Qe, portandolo a 80 miliardi al mese, e soprattutto per la prima volta si è dato vita a un articolato programma rivolto specificatamente all’economia reale. È stato ripescato quel dispositivo chiamato Tltro che consente alle banche di ricevere denaro dalla banca centrale a tassi particolarmente vantaggiosi, solo nell’ipotesi che venga impiegato in investimenti produttivi e non per l’acquisto di titoli di Stato o parcheggiato nella Bce stessa, ma soprattutto il Qe non è più rivolto esclusivamente all’acquisto di titoli di Stato o a un ristretto giro di soggetti di rango istituzionale. Per la prima volta il programma è esteso a imprese non finanziarie giudicate particolarmente solide. Come risulta evidente il fiume di denaro raggiungerà direttamente i grandi protagonisti dell’economia reale, non certo i medio-piccoli, ma questa volta senza intermediazione delle banche. Insomma il tradizionale sistema creditizio, tanto sviluppato in Europa, in questo caso viene scavalcato e se a ciò si aggiungono i tassi negativi, che costituiscono una difficoltà in più in questa fase di ridimensionamento degli utili, allora il colpo per il comparto può risultare piuttosto significativo.

Il nuovo Qe rafforzerà così una tendenza già in atto che va considerata. La Bce, infatti, offrendo eccezionali condizioni di finanziamento finisce per attirare società internazionali che hanno spremuto in precedenza le medesime offerte incontrate altrove.

E con il nuovo Qe il fenomeno potrebbe ingigantirsi. Qui il passaggio di testimone tra Fed e Bce risulta evidente. In una recente ricerca commissionata per «Il Sole 24 Ore» emerge che da quando la Bce ha portato in terreno negativo i tassi di interesse sui depositi, cioè negli ultimi 2 anni, imprese non europee hanno emesso obbligazioni in euro per un valore di 170 miliardi, mentre nei 2 anni precedenti solo per 98. Si potrebbe ipotizzare che sia a causa della ripresa all’orizzonte. Ma considerando che le obbligazioni aziendali emesse in America rendono il 3%, mentre in Europa solo lo 0,8%, si deduce come ormai sia più conveniente indebitarsi in euro piuttosto che in dollari. L’indebitamento in euro di per sé non ha un ritorno per il soggetto che emette queste condizioni di miglior favore. Spesso queste aziende di livello globale si indebitano non per investire in attività produttive, neppure a casa propria, ma semplicemente per riacquistare azioni loro in maniera da farne salire il valore in Borsa. Un processo che Morya Longo definisce «turismo finanziario».

Dalla finanza, dunque, dovrebbero giungere i principali espedienti per uscire dalla crisi dell’economia reale, quella che dovrebbe avere effetti diretti sulla vita concreta delle persone, ma poi alla finanza sembrano tornare i vantaggi più evidenti, vanificando la logica sottesa a tali provvedimenti. Gli assetti globali del capitale finanziario impediscono persino di far sgocciolare in maniera adeguata sull’economia reale i benefici ideati appositamente per essa.