La situazione in Venezuela rimane molto complessa. Tra le sanzioni imposte dagli Stati uniti, la crisi economica, le difficoltà nel dialogo di pace è la popolazione a soffrire maggiormente i tempi del conflitto. Abbiamo chiesto a Edgardo Lander, professore emerito dell’Università centrale del Venezuela e membro del Transnational Institute un suo sguardo.

Come si sta sviluppando il conflitto venezuelano?

Dal giorno del tentato colpo di stato di Guaidó ci sono stati grandi cambiamenti politici nel paese. Ormai è chiaro a chi confidava nel golpista che la fine del governo di Maduro sarebbe possibile sono se lo stesso Maduro decidesse di arrendersi. Ed è anche chiaro come questo abbia accresciuto la violenza e portato alla minaccia di colpi di stato militare, guerra civile e invasioni straniere guidate dal governo Usa. La sconfitta dell’opzione Guaidó è diventata presto chiara a molti settori della popolazione, così si è aperta una finestra di dialogo per trovare un accordo politico e un’uscita negoziata, democratica e costituzionale dalla crisi. I dialoghi di pace promossi dal governo norvegese prendono atto del contesto prima descritto. Il dialogo è pieno di imprevisti, vessato da nemici e senza garanzie di riuscita. Le sanzioni economiche imposte dall’amministrazione Usa hanno portato il governo Maduro a sospendere il percorso di pace.

Viviamo tra luce e ombra, perché non sappiamo a cosa porterà la sospensione. La scorsa settimana emissari del governo norvegese sono stati a Caracas a incontrare le varie parti. L’unica certezza che abbiamo è che più dura lo stallo e più la situazione della popolazione venezuelana rischia di drammatizzarsi, anche per le sanzioni statunitensi, che non sono la causa della crisi ma un pesante elemento di aggravamento. Basti pensare che dopo le misure imposte da Trump la Cina ha smesso di comprare il petrolio dal Venezuela. Le forze vicine a Guaidó continuano a perdere forza e consenso. Ma ci sono anche le iniziative repressive del governo Maduro, che la scorsa settimana hanno portato alla condanna di un dirigente sindacale a cinque anni di carcere per la sua attività. Chi sabota il dialogo sono le forze di destra e reazionarie del continente, soprattutto quelle vicine a Trump.

Maduro ha promosso nuove elezioni, perché?

Di tutto l’arco istituzionale del paese, che il governo tiene sotto controllo, solo l’Assemblea nazionale è sotto quello delle opposizioni dopo la netta vittoria alle elezioni del 2015. Quello che ora cerca di fare il governo, attraverso la convocazione di elezioni anticipate, è riprendere il controllo anche di quest’organo.

Vede una possibilità di pace e futuro per il Venezuela?

Voglio credere che esista. Non lo posso dire con assoluta convinzione. Ma credo di sì, anche per quel cambio nello scenario politico di cui parlavo prima. È sempre più diffusa, nella popolazione, l’idea che se non ci sarà il dialogo l’uscita dalla crisi avrà la forma dell’invasione straniera, della guerra civile o del colpo di stato. Al dibattito e al dialogo stanno contribuendo tantissimi gruppi organizzati. Io sono parte della «Piattaforma in difesa della Costituzione»: proponiamo la realizzazione di un referendum consultivo che chieda alla popolazione se vuole un rinnovo di tutti gli spazi di potere e quindi che la possibilità di decidere torni nelle mani del popolo. Altri propongono invece un governo di transizione. Ci sono tantissime proposte e una grande aspettativa nell’esito positivo dei dialoghi. Poi ci sono gli ostacoli, come quelli messi in atto dal governo Usa che sta sabotando in ogni forma il processo.