E stato un 8 marzo più amaro del solito per le migliaia di donne in Polonia che si sono ritrovate in strada ieri dopo la recente messa al bando dell’aborto terapeutico. Un incubo per molte diventato realtà in seguito alla pubblicazione a gennaio scorso di una sentenza choc da parte dal Tribunale costituzionale, organo tutt’altro che parziale, pronto ad piegarsi di volta in volta alle necessità del governo guidato dalla destra populista di Diritto e giustizia (Pis). L’espressione «senza compromessi» ha trovato posto nello slogan scelto quest’anno a Varsavia e dintorni dagli organizzatori delle manifestazioni. Nella capitale i partecipanti al corteo – non autorizzato, a causa delle misure anti-Covid che non consentono gli assembramenti di più di 5 persone – si sono ritrovati nei pressi della rotonda Czterdziestolatka, intorno alle ore 16. Le manifestanti hanno paralizzato per diverse ore la circolazione della capitale anche a causa del cordone di polizia che gli ha impedito di muoversi.

Ancora una volta, come qualche settimana fa davanti al Tribunale costituzionale, i manifestanti allo stremo sono finiti intrappolati nella morsa delle forze dell’ordine. C’era davvero poco di cui festeggiare ieri e il tempo degli accordi al ribasso è finito ormai da un pezzo: «Ogni persona ha diritto all’autodeterminazione in materia di fertilità, riproduzione e genitorialità», si legge nella proposta di legge di iniziativa popolare «Aborto legale senza compromessi», lanciata il mese scorso da un comitato composto tra le varie dalla coalizione di partiti Lewica «Sinistra», e dalla sigla “Sciopero nazionale delle donne” (Osk).

Le manifestazioni di ieri sono servite a dare un’accelerata alla crescita del sostegno nei confronti dell’iniziativa. L’Osk ha chiesto a ogni partecipante di raccogliere almeno 10 firme. Con centomila sottoscrizioni il provvedimento potrà passare al vaglio del Sejm, la camera bassa del parlamento polacco, in cui il Pis e i suoi alleati al governo hanno la maggioranza.

Si tratta di un progetto complesso che punta a depenalizzare l’aborto, regolamentare il ricorso all’obiezione di coscienza per evitare abusi da parte del personale medico e potenziare la diagnostica prenatale. «Vorrei scrivere “auguri” ma non basterebbe, almeno non nella situazione in cui vi ritrovate adesso. Perciò quest’anno e in quelli a venire vi auguro il rispetto a voi dovuto, uguaglianza, libertà di decidere», ha scritto in un tweet il sindaco liberale di Varsavia Rafał Trzaskowski, sconfitto l’estate scorsa al ballottaggio delle elezioni presidenziali per pochi voti dal candidato del Pis Andrzej Duda.

Aleksandra Krasowska è una psicologa che dal mese scorso rilascia certificati medici per aiutare le sue connazionali ad accedere all’aborto terapeutico, il tutto nel pieno rispetto della legge e a scapito del verdetto spartiacque pronunciato dalla corte filo-Pis. A lei chiediamo perché in Polonia l’accesso alla psichiatria resta particolarmente difficile. «Secondo le statistiche siamo penultimi in Europa con circa 90 psichiatri per milione di abitanti», spiega Krasowska. «Mancano i finanziamenti e poi c’è anche una certa tendenza a guardare alla psichiatria con paura e sospetto.

Affermare che l’incolumità psichica della donna sia a repentaglio è ancora sufficiente per ricorrere all’aborto dopo la sentenza del Tribunale costituzionale?
In teoria dovrebbe bastare ma spesso non è così. Alcuni ospedali interpretano la legislazione a modo proprio ascrivendola ai casi che presentano rischi «diretti» per la salute e la vita della madre, un aggettivo che non compare in nessuna legge.

In che condizioni versano le cittadine che si rivolgono a voi dopo essere venute a conoscenza di una malformazione del feto?
Dipende dalla persona. Riscontro spesso una grande sofferenza e un senso di impotenza.

A volte si ha a che fare con paura e tristezza. Tutto questo può portare all’insorgere di disturbi mentali. In che modo la psichiatria può aiutare queste persone?
Nel caso in cui vengano riscontrati gravi difetti nel feto, i rischi per la tenuta mentale delle pazienti, legati alla prosecuzione forzata della gestazione, mettono a rischio la salute della donna. Tutto ciò dovrebbe bastare ad accedere all’aborto.

Che cosa ne pensa dell’idea degli «ospizi perinatali» lanciata dal governo come alternativa all’aborto terapeutico?
Non sono né un’alternativa né una soluzione. D’altro canto esistono già da tempo. Sono lì per offrire protezione e sostegno alle donne che scelgono comunque di andare avanti nella gravidanza. Per chi invece non se la sente di continuare, non sono di alcun aiuto.