Kirill Serebrennikov allo scorso Festival Cannes, dove il suo nuovo film Leto era in concorso, non c’era; accanto al nome annunciato sul foglietto della conferenza stampa si leggeva, «sedia vuota«, mentre gli attori e l’equipe del film, salendo le «Marches», avevano innalzato uno striscione chiedendone la liberazione. Serebrennikov è agli arresti domiciliari per un’accusa di frode dall’agosto del 2017, fermato proprio mentre era sul set di Leto – che ha finito al computer in casa – subendo la stessa sorte dei suoi personaggi, solo che lì erano gli anni della grisaglia brezneviana, qui siamo nel millennio neocapitalista di Putin. Eppure… Da più parti, infatti il processo contro Serebrennikov, che si è aperto qualche giorno fa con la dichiarazione di innocenza del regista, viene considerato come l’ennesimo attacco dei conservatori contro gli artisti «scomodi», tanto più che Serebrennikov è già stato preso di mira dalla censura in passato. Leto, in sala col titolo Summer,  in un bianco e nero graffiato a effetto home-movie dal colore, ci riporta a Leningrado (non ancora tornata San Pietroburgo) negli ’80, quando i cambiamenti sembrano impossibili – ma il Muro di Berlino verrà abbattuto non molto tempo più tardi – nonostante come in altri Paesi del socialismo reale un sentimento punk-rock attraversi i desideri delle generazioni più giovani.

A LENINGRADO la scena musicale underground sfida i divieti, ma i gruppi trovano spazio solo in club quasi clandestini, il Leningrado Rock Club soprattutto.E anche lì funzionari dell’ordine e censori controllano i testi esigono spiegazioni, alzano il sopracciglio nauseati dalle parole che rivendicano un altro mondo un’altra vita mentre al pubblico è vietato alzarsi e battere i piedi per terra. I musicisti inventano, glissano, alludono, immaginano in testa hanno il rock e il punk, i Sex Pistols, e la new wave, Blondie e Bowie, fuori «addomesticano» le loro chitarre con l’arte dei grandi rivoluzionari contro il «no future» di repressione e controllo.

IL LEADER indiscusso è Mike, lo adorano, è un riferimento, la sua band si chiama Zoopark, quando suona le ragazze impazziscono; ama Dylan e Lou Reed, è carismatico, generoso, gli perdonano pure di non essere abbastanza «graffiante» con le sue canzoni, forse perché nella vita non soffre abbastanza… Con lui c’è Natalia, la sua compagna, bella, ironica, insieme «giocano» a fare le star. L’amore è trovare un disco raro al mercato nero o del «vero» caffé. La casa è una stanza dove si fuma e si suona, i vicini ascoltano e sono complici, si occupano del loro bambino. «In occidente hanno Mike, noi abbiamo Mika» dicono gli amici mentre li filmano come Jagger e gli Stones. La libertà è il mare, una fetta di cocomero, il vino, farsi il bagno nudi, una canzone suonata piano. L’estate con le sue promesse che come le canzoni possono cambiare il mondo.

UN GIORNO arrivano due ragazzini, uno si chiama Viktor, è un poeta, odia i compromessi, è o tutto o niente. Diventano amici, amano la stessa donna, lei chiede il permesso al suo uomo per baciare Viktor perché «noi non vogliamo avere segreti». Viktor è Viktor Tsoi (l’attore Teo Yoo), figlio di un ingegnere coreano e leggenda della controcultura nell’era sovietica coi suoi Kino – perché un gruppo deve avere un nome corto – morto a ventotto anni schiantandosi con l’auto in Lettonia nell’estate del 1990. Mika è Mike Naumenko (nel film la rock star Roman Bylik cantante degli Zveri che hanno curato tutti gli arrangiamenti) ucciso nel 1991 in una rapina. Tutti e due non hanno saputo come sarebbe andata a finire quella Perestrojka che Mike già odiava, e che forse come è accaduto a tanti altri li avrebbe inghiottiti nel nulla.

PARLA di loro il film di Serebrennikov, anche se il biopic al regista interessa fino a un certo punto, cosa che gli permette una leggerezza emozionale e soprattutto di sfuggire al cliché della rockstar «maledetta» su schermo, cercando invece una corrispondenza intima tra la sua narrazione e quella delle canzoni, tra le vite e la loro invenzione. Il suo è un racconto crudele della giovinezza, dei sogni che evaporano nei cambiamenti, degli amori che finiscono, delle certezze. Cosa vuol dire avere vent’anni quando intorno cercano di sfinirti in ogni modo, quella rabbia giovane e «new wave» che ovunque in quel momento dell’esistenza è necessaria. C’è una canzone di Tsoi dal titolo L’estate che sta per finire, come è finita la loro estate spensierata a dispetto di tutto, poliziotti, benpensanti, mercato nero. Ma Serebrennikov si ferma prima, quando le cose possono ancora accadere. «Il nostro amore è da ragazzini, camminiamo mano nella mano»dice Natalia a Mike parlando di Viktor. Non è successo nulla, non succederà nulla, ma in quello spazio prima di ogni cosa, anche di un bacio innocente, c’è questa estate in cui tutto comincia, il disordine, le scoperte, il sentimento della possibilità.