La luna è un abat jour di luce pallida, un’aura di sensualità, il riflesso luccicante di una fantasia proibita: «Salomé danza per me» sussurra la voce straziata di Carmelo Bene/Erode alla fanciulla, creatura lunare che brilla sfuggente. Un fantasma, il sogno di un desiderio impossibile?

Nella Bassa Padania il sognatore Ivo Salvini sente le voci dai pozzi mentre fantastica sul suo ideale di donna che somiglia all’amatissima luna piena. «Che fai tu, luna, in ciel? Dimmi, che fai, silenziosa luna?». Qualcuno però la luna vuole catturarla, dicono che manda i diavoli sulla terra, tutto il paese d’accordo e per farlo tirano fuori una mostruosa trebbiatrice… Ma lui, Ivo cosa farà senza la luna, cosa faranno gli altri pazzi, girovaghi, poeti sperduti in un mondo senza fantasia? Sulla luna si incontrano Carmelo Bene (Salomé, 1972) e Federico Fellini – La voce della luna (1990) – dal Poema dei lunatici di Ermanno Cavazzoni che sarà il suo ultimo film – luna lisergica la prima, luna silenziosa che galleggia tra i ricordi di infanzia la seconda (e doppio anniversario, cinquant’anni dal primo allunaggio e cento il prossimo anno dalla nascita del regista). Ma la luna nel cinema è presenza e fantasmagoria quasi originaria. Nel 1902 George Méliès realizza Le voyage dans la Lune ispirandosi a fonti letterarie, i romanzi di Jules Verne e H.G. Wells,primo kolossal della storia del cinema (260 metri di lunghezza, trenta quadri, tre mesi di riprese, costo 10.000 franchi),in cui sperimenta tutte le possibilità del nuovo mezzo espressivo. Alle vedute dei fratelli Lumière contrappone un paesaggio fantastico, reminiscenza di pittura, teatralità, trucchi da fiere e baracconi, con un gruppo di umani lanciati nello spazio in un missile che si conficca nell’occhio del pianeta.

È che quel globo giallo, distante e vicino, spicchio o pienissimo, apre sulla terra un orizzonte del possibile in continua mutazione dove si può immaginare accada quanto in terra non è neppure pensabile. É uno specchio di Alice la luna, un altrove di poesia e di sogno fuori dalle regole con le sue leggende arcaiche, la sua femminilità, seduzione per i poeti e i lunatici, spazio dell’immaginario, di storie, creature misteriose, viaggi, maree, moti del cuore, amori (e cervelli) perduti. Non è questo almeno un po’ anche il cinema?

Ma cosa accade quando l’uomo, cinquant’anni fa mette piede sulla luna? Una nuova frontiera, un altro mito? Se invece la luna fosse più bella vista da lontano di quel deserto di sassi polverosi? È la malinconia che pervade il Primo uomo (Damien Chazelle, 2018) più che un biopic epico di Neil Armstrong – deceduto nel 2012 – il racconto dell’uomo Armstrong, e della strana innocenza di quegli astronauti nell’America degli anni sessanta dove sembrano loro gli «alieni», separati dal mondo nelle loro casette e nei training per allenarsi allo spazio, alla conquista del nuovo pianeta.

Luna, e non solo le avventure spaziali come l’Apollo 13 (di Ron Howard, 1995) e il suo «Houston abbiamo un problema» rimasto iconico nel tempo. La luna è un sentimento, un stato d’animo – o una magia, coi suoi poteri Sailor Moon, l’eroina del manga giapponese, sfidava i cattivi.
Trying to kiss the moon chiama Stephen Dwoskin (1994) la suia autobiografia, i ricordi di bambino, il presente di adulto, la malinconia della vita con la sua dolcezza e le sue sfide impossibili. Dolore, amore, sensualità: Prova a baciare la luna.
Nella Parigi anni Ottanta Eric Rohmer segue le Notti della luna piena di una ragazza inquieta – dolcissima Pascale Ogier. «Chi ha due case impazzisce» recita l’adagio. E chi ha due amori? La luna illumina le sere infinite fino all’alba di Louise e la sua voglia di festa. Un incontro – è luna piena – un’avventura, un amore che si perde, la solitudine improvvisa di una separazione.

Nel Giappone medievale Mizoguchi in quello che viene considerato il suo film più importante – I racconti della luna pallida di agosto (1953) – parla del cuore umano: la guerra, l’ossessione della gloria, la cupidigia, l’estasi amorosa.
«La luna mi ispira, è come un’esistenza nel sogno. Tutto quello che mi piacerebbe è far volare le persone». Sulla luna VR di Laurie Anderson sventolano le bandiere americane e sovietiche, ma non ci sono razzi: è un asino che aspetta colui che all’improvviso si trova catapultato sulla superficie lunare fluttuando in quell’ «altra» dimensione immateriale liberato dalla gravità. Nello spazio balena la parola «Democracy»: appare, scompare mentre i segni di quella colonizzazione, lo scontro tra potenze per il controllo del mondo sembrano quasi un paradosso. La storia della terra e il suo contrario. To the Moon è un’utopia, l’utopia della luna, dove ancora una volta tutto è possibile ritrovando le emozioni di un gioco di infanzia come quando per la prima volta si alzano glin occhi e si scopre il mistero di quel tondo. Schermo di tutti noi.