Il Kenya sta diventando il Paese dei colpi di scena (c’è quasi da provare compassione per i giornalisti delle sonnolenti città europee) e non smette di stupire: dopo il voto composto, tecnologico e «regolare», arriva come un fulmine la sentenza della Corte Suprema a cui l’opposizione guidata da Raila Odinga si era rivolta per presunti brogli.

E – udite, udite – per la prima volta nella storia dell’Africa accoglie il ricorso e dichiara non valide le elezioni che, per il presidente della Corte, David Maranga, «non sono state costituzionali».

Circa un terzo delle schede è risultato irregolare: alcune bianche, altre sono firmate con la stessa scrittura, altre addirittura provengono da seggi inesistenti, in altre i risultati sono diversi dai totali annunciati dalla commissione elettorale e, infine, in molte (migliaia) mancano timbri e firme ufficiali per un totale di circa cinque milioni di voti, abbastanza da influire sul risultato finale. Inoltre la Corte Suprema ha rilevato che numerosi utenti non autorizzati erano entrati nel sistema prima e dopo le elezioni.

Sarà necessario indire un’altra data e ritornare a votare entro 60 giorni. Odinga aveva perso le elezioni con il 44,7% dei voti contro il 54% del presidente uscente Kenyatta e subito dopo il voto aveva dichiarato che «la votazione non era stata regolare».

In un primo momento aveva pensato a una soluzione di forza, ma si era poi fatto convincere dalla diplomazia internazionale a seguire la via del ricorso che ora gli ha dato ragione. Subito dopo aver appreso la notizia ha sentenziato: «Le buone cose arrivano per chi sa aspettare e noi continueremo fermamente con la nostra richiesta di giustizia».

Ha poi dichiarato di voler chiudere la commissione elettorale (Iebc) che ha gestito il processo elettorale: «Dovranno essere perseguiti per il crimine che hanno commesso contro il popolo keniano».

Lacrime di gioia tra la gente del partito di opposizione Nasa, grandi feste tra le strade di Kibera, Ngomongo e naturalmente Kisumu, ma il dato più rilevante è che per la prima volta la gente inizia ad avere fiducia nelle istituzioni e a superare il sentimento di fatalismo che pervade ogni questione che riguarda la politica.

Kevin Odhiambo, impiegato di Korogocho, spiega: «Kenyans woke up», i keniani si sono svegliati. Anche per gli osservatori internazionali la sentenza «è un segno di grande maturità, può essere letta come un momento di reale democrazia».

Ma per i sostenitori del presidente si tratta di un giudizio politico; inoltre, racconta Peter Warui, community worker di Dandora, è «molto strano che uno dei giudici (Ibrahim Mohamed) sia risultato malato all’ultimo minuto». Anche secondo il senatore Irungu Kang’ata del partito del Presidente (Jubilee), «la sentenza è falsa, la Corte ha solo letto una parte delle prove».

Della stessa opinione anche l’avvocato Ahmednassir Abdullahi del presidente Kenyatta: «Siamo delusi dalla sentenza. Pensiamo che non abbia alcun fondamento giuridico: è una sentenza politica».

Perplessità anche sulla commissione elettorale: «pensavo di aver pagato per un ente indipendente, invece ho giocato al lotto» afferma Joyce Wanjiku, panettiera di Ongata Rongai.

Uhuru Kenyatta da parte sua ha dichiarato di «essere in disaccordo con la decisione della Corte, ma di rispettare la sentenza: credo nello stato di diritto. La mia vittoria rispetta la volontà della gente». Ha poi invitato i keniani a mantenere la calma: «Ricordate che i vostri vicini rimarranno sempre i vostri vicini senza problemi».

In realtà non si rifaranno le elezioni, ma solo la parte relativa al presidente della Repubblica (almeno che non seguano altri ricorsi) si tratterà quindi di un ballottaggio. Il giorno rimarrà nella storia, speriamo che ne seguano altri perché anche elfu huanzia moja (le migliaia cominciano da uno).