Caro direttore, ho letto l’intervento di Giuseppe Di Lello sul giornale dal titolo «Crolla il pilastro sulla trattativa».

Vorrei partire dall’ultimo passo del suo articolo dove scrive «la mafia conta ancora in Sicilia ma i suoi capi (escluso Messina Denaro) e adepti sono tutti all’ergastolo o scontano pesanti condanne».
A queste parole si rimane interdetti nel senso che non si capisce come la mafia conti ancora se i suoi capi ed adepti sono in galera.

Forse Di Lello individua la mafia con quella che spara?

Credevo di sapere che fra Stato e mafia si è sempre trattato, e per Stato si devono intendere le classi politiche dominanti ed i loro governi, chi si metteva di traverso, da dentro o fuori lo Stato, veniva fatto fuori. Le morti di Falcone e Borsellino, come le molte altre di magistrati non stanno lì a dimostrarlo? Classe politica è generico, i suoi membri hanno un nome, allora mi chiedo se Mannino aveva rapporti con la mafia (quella che spara e che non spara), e lo chiedo a Di Lello.

Ed ancora, perché Mannino temeva, secondo le sue parole, di essere fatto fuori come Lima lo era stato per non aver mantenuto i patti? Quei patti li aveva conclusi anche Mannino e tutta la classe dirigente democristiana dell’isola e non solo?

Ed infine, tornando all’inizio, come può la mafia contare in Sicilia, come Di Lello sostiene, se i suoi capi ed adepti sono in galera? Di Lello scrive che la mafia conta ancora in Sicilia, ed in Italia?
La mafia ha sempre contato in Italia. Forse il Manifesto per capirci qualcosa dovrebbe porre queste domande a Di Lello.

Cavalieri Tiziano

La risposta di Giuseppe Di Lello

In un articolo di poche righe scritto per la cronaca, è difficile descrivere lo stato attuale della mafia.

Non ho mai ritenuto che la mafia sia solo quella che spara, ma non v’è dubbio che questa ha ricevuto colpi mortali e ha compreso che sul piano militare non può competere. Gli omicidi ci sono ancora però la stagione stragista è tramontata: nel periodo tra l’82 e l’83 ci sono stati a Palermo e dintorni 500 morti e ciò non è più: conta qualcosa per chi vive in Sicilia.

I capi sono tutti all’ergastolo, un patrimonio immenso è stato confiscato e i pentiti continuano ad esserci. Non c’è dubbio che la mafia fa ancora affari con le pubbliche amministrazioni, con la droga e le estorsioni ed altro, ma il suo potere si va sgretolando. Le connessioni con la politica, ma ancor più con le pubbliche amministrazioni e soprattutto con l’imprenditoria resistono, ma sono sempre più contrastate.

Da ciò a ritenere che lo stato ha perso e la mafia ha vinto ce ne corre.

Le responsabilità politiche sono ormai storia, ma portarle in tribunale non sempre ha pagato e se alcuni politici hanno pagato, ma molti altri sono stati assolti e, purtroppo, glorificati.

La Dc, ma anche altre forze, anche di sinistra, hanno le loro responsabilità e non ci sarà la fine della mafia se non si recidono questi legami.

Non sono l’avvocato d’ufficio di Mannino, ma quest’ultimo è stato assolto in cassazione per il 416 bis e in primo grado per la trattativa. Mannino dà una sua spiegazione sui suoi timori e la attribuisce al suo impegno antimafia e sembra che i giudici gli diano ragione. Ci possiamo credere o meno, ma vogliamo dire che i giudici che assolvono sono contigui alla mafia e quelli che condannano sono i puri?

Falcone e Borsellino hanno fatto scuola a livello nazionale e internazionale e se la mafia ora conta meno è proprio grazie al loro esempio e al loro metodo.

Giuseppe Di Lello