È in corso un andamento confuso, ovviamente, per fornire una attrezzatura culturale all’èra Renzi (che é più vasta di chi le dà nome), di cui sono indizi la via breve al divorzio e ora la dichiarazione di liceità della cosiddetta inseminazione “eterologa”. Carne di tale tendenza direttamente cucinata dallo chef Matteo in persona è invece lo sbilanciamento verso i padroni di tutta la materia del lavoro (da ultimo con l’esautoramento definitivo dei sindacati, che -se non sono più un agente contrattuale- diventano solo un costoso dopolavoro).

Ma torniamo all’inseminazione. Innanzitutto vedo che la dizione “eterologa” resiste imperterrita, nonostante la sua erroneità: si deve dire inseminazione da donatore esterno al matrimonio. Infatti etorologo significa: di altra specie, cioè inseminazione da scimpanzè o da spirito santo, come mi capitò di osservare con una qualche irriverenza alcuni decenni fa. Invero la posizione giuridica del donatore (marito o no) non ha alcun effetto sulla inseminazione. Come mai ci troviamo di fronte a una ondata di liberalismo? Secondo me vuol servire per rendere più “moderno ” l’impasto renziano Pd/Dc. A lungo ho atteso che la Cei scegliesse dove appoggiare la riunificazione del cattolicesimo politico. Fallita l’operazione Scola-Cl per l’ elezione di papa Bergoglio, la musica é notevolmente cambiata e Renzi si è subito messo in sintonia. Con parole più laiche.

La coerenza dell’operazione sta nel fatto che alla morale o alla politica o alla Costituzione si sostituisce come regolatore sommo e tendenzialmente unico di tutto, il mercato. Infatti se l’inseminazione da donatore esterno al matrimonio diventa una prestazione medica legittima, ma non contemplata dal servizio sanitario nazionale, vi ricorreranno le coppie che lo desiderano e hanno i soldi per pagarsela. Invece le coppie poveracce, che desiderano e non hanno soldi potranno fischiare o adattarsi a qualche intervento sottobanco, fatto magari malamente, come le poveracce avrebbero potuto continuare ad avere l’aborto delle mammane, se fosse passato il referendum dei radicali in materia.

Invece non passò: ora di nuovo vale la pena di discutere, per mettere a punto con precisione le parole per dire le questioni.

Ad esempio: non usare eterologo per dire: esterno al matrimonio. Ad esempio: non dire bene comune se non per dire bene di proprietà pubblica. Ad esempio: non dire cura per dire lavoro della riproduzione, che va fatto “con cura”, il suo modo proprio di essere ecc.ecc.
Scusate la deformazione professionale da prof di italiano per tanto tempo: ma non si tratta di cosucce.

Ad esempio: sarebbe molto importante rimettere in corso la dizione marxiana: “beni d’uso” per indicare quei beni che non sopportano proprietà -nemmeno pubblica- e sono da usare e rispettare e lasciare in uso possibilmente intatti a chi verrà dopo di noi: vale per aria acqua terra risorse consumi ecc.

E per dire tutto, già che ci sono: vogliamo una buona volta definire con legge di iniziativa popolare, che cosa contiene la sovranità della quale la Costituzione riconosce l’appartenenza e l’esercizio al popolo?
Se infatti la sovranità non é definita nei suoi tratti giuridici, capita che un impresario, magari Impregilo, e un ministro, magari Lupi, che fanno capo ambedue alla Compagnia delle “grandi” Opere, possano fare quel che vogliono in Val Susa, a Niscemi, sullo stretto, nel Mose ecc.ecc. , mentre Erri De Luca, i valsusini e i loro sindaci appena protestano contro i cantieri e l’espropriazione dal loro territorio, diventano violenti anarcoinsurrezionalisti eversori cattivissimi. Davvero non se ne può più. Scriviamo un testo di legge di iniziativa popolare per definire l’esercizio popolare della sovranità. Già i contratti di lavoro che avevano valore di legge erga omnes e che erano l’altra unica forma di democrazia diretta nel nostro ordinamento  non ci sono più: salviamo almeno questa.

E visto che si tratta di correggere la Costituzione, io vorrei davvero cancellare l’Articolo 7: il Concordato la chiesa cattolica lo richiede e cerca di averlo solo nei Paesi nei quali teme persecuzioni, non è certo il nostro caso. Non c’é concordato nè in Austria, nè in Spagna, nè in Portogallo o nei Paesi dell’America latina, nè negli Stati uniti o in Germania. Per dire qualcosa sulle pretese dello Stato della città del Vaticano in varie materie, su soldi e potere, bisogna fare una controversia internazionale. Non sarebbe il caso di saggiare la disponibilità di Papa Francesco su un terreno di laicità che dovrebbe essergli gradito?