Da ieri i giganteschi server mantenuti dalla Nsa nei centri di sorveglianza in Utah, hanno smesso di registrare i dati di ogni telefonata effettuata negli Stati uniti, o sono perlomeno tenuti a farlo (la segretezza che avvolge l’operazione è tale da non permettere una verifica indipendente).

In sostanza per la prima volta in 14 anni sono stati diminuiti i poteri speciali di sorveglianza ed intercettazione implementati dal governo con il Patriot Act dopo gli attentati dell’11 settembre, 2001. La decisione è avvenuta dopo un dibattito fiume del Senato riunito domenica in seduta straordinaria per cercare di riconfermare l’autorità dei servizi segreti a raccogliere automaticamente tutti i cosiddetti «metadati» relativi alle telecomunicazioni dei cittadini, quindi numeri chiamati, ora e durata di ogni telefonata effettuata ogni giorno in America.

Tutti incamerati automaticamente nei computer dello Stato. Per proseguire, il programma aveva bisogno di essere ri-autorizzato entro la mezzanotte di domenica ma un manipolo di senatori ha opposto una resistenza ad oltranza che ha impedito di raggiungere il consenso necessario. I dissidenti sono stati guidati dal senatore Rand Paul, leader iperliberista della corrente «libertarian» nonché candidato alla nomination repubblicana per la Casa bianca. Intervenendo ripetutamente per far scadere il tempo, Paul ha intimato ai colleghi di non rinnovare un provvedimento «fondamentalmente contrario alle garanzie costituzionali».

«I nostri padri fondatori resterebbero allibiti dal concetto di sorveglianza di massa e dall’ingerenza dello stato negli affari privati dei cittadini». La sospensione forzata da Paul è destinata ad avere una durata solo temporanea. I leader repubblicani del senato hanno indicato infatti che in seconda battuta sosterranno un disegno di compromesso già approvato dalla camera e sostenuto dalla casa bianca che prevede di continuare le intercettazioni dei «metadati» anche se questi non verranno più «aspirati» direttamente nei computer Nsa ma mantenuti nelle database delle società dei telefoni soggette ad ispezione dietro regolare mandato.

La questione ha aperto profonde spaccature interne in entrambi i partiti , specialmente quello repubblicano in cui falchi come John McCain e il presidente della maggioranza Mitch McConnell sono rimasti impotenti davanti alla fronda della minoranza libertaria a antistatalista coalizzata per l’occasione con la sinistra democratica.

Nello specifico caso di Rand Paul la virtuosa indignazione aveva anche una componente interessata visto che la battaglia lo ha posizionato come principale paladino delle libertà individuali all’inizio della campagna elettorale per le primarie. Molti suoi stessi colleghi repubblicani lo hanno di fatto accusato di sabotaggio a scopo autopromozionale.

Paul ha ripetutamente accusato Obama di essere stato l’architetto di un meccanismo orwelliano. Il presidente e la sua amministrazione sono certamente stati interessati sostenitori della Nsa, ma il Patriot Act è una creatura di George Bush che lo ha segretamente gestito accettando al massimo (e solo dopo diversi anni) il vaglio di un tribunale segreto – il Fisa (foreign intelligence surveillance court) – preposto ad una nominale vigilanza. I contorni della operazione di sorveglianza sono stati trattenuti anche dalla maggior parte dei membri del congresso a cui – lo ha ricordato Paul- in una testimonianza del 2013 il direttore della Nsa Keith Alexander ha sfacciatamente negato l’esistenza delle intercettazioni. In seguito l’agenzia e l’amministrazione hanno sostenuto che la sorveglianza avrebbe sventato «una cinquantina» di complotti terroristi. Successive inchieste parlamentari non hanno appurato un singolo caso accertato.

La sorveglianza di massa è stata parte integrante della logica dell’emergenza, una deriva totalitaria caratterizzata da uno stato sicurezza segreto, dalle operazioni «covert» della Cia, il programma di rendition, la tortura nei black sites e il ruolo sempre maggiore delle forze speciali e delle «sortite mirate» a mezzo drone, nelle operazioni di guerra. In questo contesto il voto del senato rappresenta una prima importante sconfitta dell’apparato di sicurezza clandestine. E sul dibattito del senato ha aleggiato la palpabile presenza di Edward Snowden.

La questione difficilmente sarebbe stata sollevata senza le rivelazioni dell’ex analista rifugiato in Russia: la decisione rappresenta il primo risultato concreto ed effettivo delle sue rivelazioni. «Lo considera un passo molti positivo» ha detto a suo nome il collega Glenn Greenwald in una intervista. «Pur con forti dubbi sulla sufficienza del compromesso è innegabile l’importanza di una decisone che per la prima volta on 14 anni sottrae poteri straordinari allo stato invece di confermarli».

Sono effettivamente numerose le zone di ombra che resterebbero da chiarire, sulla la sorveglianza internet ad esempio, e l’hackeraggio governativo di software e hardware commerciale, ma certo da oggi l’assedio dello stato ai propri cittadini è un po’ meno blindato.