L’accordo c’è e non si torna indietro, ricorda il governo alla minoranza del Pd che – terminata la festa per il «ritorno del metodo Mattarella» – si scontra con le difficoltà del tradurre in un emendamento all’articolo 2 del disegno di legge di revisione costituzionale l’intesa sul senato «quasi elettivo». Due i problemi più evidenti attorno ai quali hanno girato senatori, capigruppo, ministra e sottosegretario tutto il giorno in differenti tavoli. Il primo: l’articolo 2 al secondo comma stabilisce il principio che i senatori sono eletti dai consigli regionali «con metodo proporzionale fra i propri componenti e fra i sindaci» della regione, dunque assegnare lo stesso potere ai cittadini senza cambiare quel comma è come minimo una contraddizione nello stesso articolo. E Renzi quel comma non lo cambia. Il secondo problema: delegare alle leggi regionali la scelta del metodo con il quale i cittadini elettori «designano» i consiglieri senatori (scelta che i consigli regionali dovranno ratificare) è niente altro che un rinvio, il cui risultato finale più probabile è un sistema indigeribile quanto quello originale renziano: listini bloccati e senatori scelti dai capi partito.

Ci sono poi almeno altri due problemi accantonati dalla discussione ma destinati a esplodere una volta finiti i festeggiamenti per l’accordo che «ricompatta» il Pd. Magari se ne accorgerà la camera dove la legge dovrà tornare. Il primo: la possibile «designazione» dei cittadini in occasione delle elezioni regionali vale solo per i senatori consiglieri, tre quarti del totale dei componenti del nuovo senato. Sui sindaci (21) i consiglieri regionali mantengono mano libera. Il secondo problema: con questo accordo il primo «nuovo» senato potrà insediarsi nel 2020, a conclusione del ciclo delle elezioni regionali, cioè due anni (o tre) dopo la prevista entrata in vigore della riforma costituzionale secondo il calendario renziano. Solo una ventina di senatori potrebbero essere «designati» dai cittadini nel 2018, al piccolo costo di rinviare di qualche mese le regionali previste a febbraio. Per tutti gli altri (più di 50) resterebbe il metodo previsto dalla norma transitoria (articolo 39 del disegno di legge), cioè libera scelta dei consiglieri regionali.
Ma l’accordo Renzi-minoranza c’è e stamattina alle nove, quando scade il termine per la presentazione degli emendamenti, dovrebbe trovare la forma di proposte concordate di modifica. Non solo all’articolo 2 comma 5, ma anche sulle competenze del senato (allargate), sui giudici costituzionali (il senato tornerebbe a eleggerne due), sul ricorso alla Consulta in caso di mancata concessione dell’autorizzazione a procedere, sul rinvio automatico alla Consulta delle leggi elettorali e, più difficilmente, sulla modifica della platea dei grandi elettori del presidente della Repubblica. Nel frattempo la minoranza non avrebbe intenzione di ritirare i suoi emendamenti, un po’ perché qualche senatore non è ancora convinto avendo annunciato la sua partecipazione a una manifestazione che ci sarà oggi pomeriggio davanti al senato contro la riforma, un po’ per aspettare le decisioni di Grasso. Ieri il presidente del senato ha risposto in pubblico agli avvertimenti di Renzi – «le regole vanno maneggiate con cura misurando le parole» – ma aveva prima acconsentito alla richiesta della maggioranza di tagliare i tempi del dibattito. Aver ottenuto dalla minoranza la rinuncia agli emendamenti pro elezione diretta dei senatori è per Renzi un doppio vantaggio: spinge Grasso a non esporsi troppo e, in caso contrario, tiene legato tutto il Pd all’accordo. Ma il premier si cautela anche con altri metodi. È di ieri la notizia del passaggio ufficiale di altri due senatori di Forza Italia al gruppo di Verdini che – ha comunicato in aula il senatore D’Anna – si candida a diventare la spalla stabile per la «catarsi renziana» ben oltre la riforma costituzionale. Il capogruppo azzurro Romani ha reagito con un tardivo appello al capo dello stato contro la «oscura campagna acquisti», attività per la quale è però Berlusconi il condannato in primo grado.

Depositati gli emendamenti, la decisione di Grasso sull’ammissibilità di quelli all’articolo 2 arriverà con tranquillità, depotenziata ormai la minaccia della conta sull’elezione diretta. Resta però il problema del treno di emendamenti minacciati da Calderoli: le performance del senatore leghista potrebbero tornare ancora una volta utili al governo nel caso servisse imporre la fiducia. Ma anche gli emendamenti del resto delle opposizioni (5 stelle e Sel che ne annuncia 60mila) andranno scavalcati, e Grasso potrebbe recuperare il metodo del canguro. Nemmeno questo previsto dal regolamento del senato, ma a quel punto al presidente del senato arriveranno solo applausi da palazzo Chigi.