In senato il Davide dissidente si batte contro il Golia maggioritario. Tre i fronti: tempi, modalità di votazione, tecniche anti-ostruzionistiche.
Sui tempi. La conferenza dei capigruppo ha deciso al momento per sedute a oltranza. Può darsi che la questione si riapra. Diciamo allora che non dovrebbe comunque parlarsi di ghigliottina o di contingentamento. Quanto alla prima, l’art. 78 reg. sen. la consente per la legge di conversione del decreto-legge, collegandosi al termine disposto dall’art. 77 Cost.. Non potrebbe applicarsi oltre l’ambito specificamente previsto.

Comprime i diritti dei singoli parlamentari, dei gruppi e della stessa aula. Dunque, la norma regolamentare è di stretta interpretazione. Il contingentamento assegna a ogni gruppo un tempo complessivo per gli interventi. Si potrebbe dire che non sia precluso per la legge di revisione di cui all’art. 138 Cost.. Ma un dubbio viene. Uno dei cardini dell’art. 138 è la maggiore ponderazione, testimoniata dalle due deliberazioni. A che serve garantirla, se si taglia la discussione? Ponderare tacendo? Quindi abbiamo un argomento sistematico nel senso che una compressione forzosa degli spazi di discussione non è componibile con l’art. 138. In ogni caso, il contingentamento toglie la parola, ma non riduce il numero di votazioni.

Scrutinio palese o segreto? In principio, il voto è palese. L’art. 113, comma 4, reg. sen. consente il voto segreto, su richiesta di almeno 20 senatori, «per le deliberazioni che attengono ai rapporti civili ed etico-sociali di cui agli articoli» da 13 a 32, comma 2, Cost., salvo l’art. 23. In sostanza, libertà e diritti. Si aggiungono le minoranze linguistiche. L’elenco non comprende le leggi costituzionali di cui all’art, 138, nonostante la particolare rilevanza.

Voto palese, dunque, non avendo la riforma direttamente ad oggetto gli articoli da 13 a 32, o segreto solo per quanto concerne le minoranze linguistiche? Qui troviamo un paradosso. Per una legge ordinaria attuativa della libertà personale ex art. 13 sarebbe consentito lo scrutinio segreto, mentre una legge costituzionale che cancellasse l’autonomia e l’indipendenza dei giudici (parte II, titolo IV, art. 101 segg.), cruciale per la riserva di giurisdizione di cui allo stesso art. 13, richiederebbe necessariamente il voto palese. Una evidente incongruenza.

Si potrebbe allora leggere in via di ricostruzione sistematica la “attinenza” di cui all’art. 78 non solo come diretta, ma anche come incidenza in via mediata su libertà e diritti. Se la riforma proposta ridisegna le architetture fondamentali dalla Costituzione, attraendo in un’orbita maggioritaria gli organi di garanzia e la stessa rigidità della Carta, intaccando la rappresentanza politica, riducendo la partecipazione democratica, si può mai ritenere che non abbia attinenza con libertà e diritti? Sarebbe un formalismo evidente. E se tale attinenza invece si riconoscesse, sia pure mediata, la via per il voto segreto potrebbe ritenersi aperta. Una interpretazione del regolamento secundum constitutionem.

Non è decisivo in senso contrario l’argomento che lo scrutinio segreto non si è mai dato per le leggi costituzionali. Nemmeno è mai accaduto che un governo volesse imporre una “sua” riforma, e tanto meno che per ottenerla giungesse a minacciare lo scioglimento. E avrebbe senso che il voto segreto fosse consentito per le minoranze linguistiche, e invece precluso per la partecipazione democratica o i checks and balances?

Infine, l’ostruzionismo. Tipicamente, si fa con emendamenti seriali. Ad esempio, se il testo originario dispone che una certa attività deve compiersi «entro il 31 luglio», l’emendamento può cambiare il giorno, e magari aggiungere ore e minuti: «entro le ore 12 e 01 minuti del 1 gennaio». Cambiando il giorno, le ore e i minuti, si possono costruire migliaia di emendamenti. La tecnica anti-ostruzionistica comporta mettere in votazione un emendamento fino alla parte comune a tutti: ad es., le parole «entro le ore». Il voto contrario dell’aula farebbe cadere non solo l’emendamento votato, ma anche tutti gli altri contenenti le identiche parole, e diversi solo per la data e l’ora. Questo è il “canguro” di cui si parla, per cui – si dice – cadrebbe il 40% degli emendamenti. Nel corso degli anni, la mordacchia al parlamento è stata in larga misura già messa, e si vuole ora ancor più stringere. Ma togliendo voce a un parlamento la si toglie al paese, stroncando un dissenso si ferisce la democrazia. Perfino in Gran Bretagna, madre dei parlamenti moderni, il costituzionalismo classico afferma che mentre l’opposizione di sua maestà non deve impedire al governo di sua maestà di governare, l’ostruzionismo può essere una unfortunate necessity. Tale è il caso oggi in senato. È un’indecenza costituzionale che un governo ricorra alle minacce per imporre la modifica di un delicato equilibrio di checks and balances, e in specie indebolire il parlamento nel rapporto con lo stesso esecutivo. Siamo ancora e sempre per un senato elettivo, e tifiamo per una – pur improbabile – vittoria di Davide.

Il Presidente Napolitano chiede che nessuno agiti fantasmi di autoritarismo. E avrebbe ragione, se dei fantasmi di ieri si trattasse. Ma la domanda è: esiste il rischio di una oggettiva riduzione degli spazi di confronto democratico, oggi in senato, domani nel paese? E se tale rischio esiste, si deve tacere o parlare?