L’emendamento c’era, ma in uno dei primi giorni della maratona di palazzo Madama è stato rapidamente travolto come tutti quelli non «vistati» dal governo (almeno tutti quelli votati con il voto palese). A proporre l’abolizione tout court del senato erano i senatori del Nuovo centrodestra, ma i voti (non abbastanza) sono arrivati dagli oppositori della riforma costituzionale: Sel, 5 Stelle e Lega. Non un controsenso, visto che sono stati proprio i più critici del disegno di legge Renzi-Boschi a definire questa riforma «un’abolizione di fatto» del senato, un organo che finisce col sopravvivere a se stesso. Ma adesso nessuno può escludere che in fondo alla strada imboccata venerdì dal parlamento italiano ci sia proprio il monocameralismo. Almeno stando alle paragonabili esperienze europee.

È quello austriaco il vero modello del senato disegnato dalla riforma renziana, come ha fatto notare nel corso del dibattito il senatore Chiti. Malgrado abbia lo stesso nome del tedesco Bundesrat, la camera federale austriaca ha poteri e capacita di incidere assai minori. I senatori – 62, per una popolazione di otto milioni – sono eletti dai consiglieri dei Lander proprio come quelli italiani – cento – saranno scelti da e tra i consiglieri regionali. I senatori austriaci hanno un potere di intervento sulle leggi sempre superabile dal voto della camera politica, così come si vuole fare in Italia. Nel senato austriaco i senatori dei Lander rappresentano i partiti e votano sulla base delle appartenenze politiche, non territoriali, il che svilisce assai l’intenzione di farne dei delegati dei territori: anche in questo caso lo schema italiano è identico. Camera politica, dunque, ma con capacità di intervento talmente limitate che in Austria è da tempo considerata un ente quasi inutile. Il dibattito va nel senso di una sua abolizione. Come ha rischiato di essere abolito il senato irlandese, i cui componenti sono in maggioranza eletti di secondo grado e svolgono le funzioni di una camera di riflessione. Il Seanad ha pochi poteri, ma nonostante il partito di destra abbia promosso un referendum per eliminarlo (per risparmiare) i cittadini lo hanno salvato.
C’è poi il caso spagnolo, ricordato dal costituzionalista Alessandro Pace anche nel corso della sua audizione in prima commissione. Da anni la «sudditanza» del senato di Madrid al Congresso dei deputati è oggetto di considerazioni critiche. Il Senado è eletto con un sistema misto (in prevalenza voto popolare diretto) ma come nel modello italiano non è chiamato a dare la fiducia al governo e mantiene un ruolo secondario nel procedimento legislativo. Le proposte di riforma per aumentarne i poteri datano praticamente dall’entrata in vigore della costituzione spagnola. L’alternativa è l’abolizione, eventualità che si è affacciata – come informa il dossier di documentazione preparato dagli uffici di palazzo Madama per accompagnare la riforma italiana – anche nel dibattito polacco. I cento senatori della Polonia continuano a essere eletti direttamente, ma sono sganciati dal rapporto fiduciario con il governo e hanno un potere legislativo limitato, un potere di revisione costituzionale pieno e nessuna possibilità di sindacato ispettivo sugli esecutivi, proprio come dovrebbe essere in Italia.

Un senato sminuito nella sua funzione, ma tenuto in vita, rischia dunque di essere percepito molto presto come un senato inutile. Specialmente se il principale argomento con il quale il governo ha spinto la riforma è l’esigenza di risparmiare le indennità dei senatori: c’è sempre la possibilità di risparmiare ancora. E se è vero che in Italia il monocameralismo è stato proposto – anche in parlamento – dalla cultura costituzionalistica di sinistra, la spinta verso leggi elettorali ultra maggioritarie per la camera fa pensare all’abolizione del senato come a un ulteriore rischio.