La riforma della scuola arriva al Senato e, ancora prima che il testo venga trasmesso dalla Camera, il combinato disposto Pd-Grasso riparte con i giochi di prestigio che hanno già da un pezzo trasformato palazzo Madama in un fiera mondiale del trucco e del sotterfugio. La presidente del Gruppo Misto Loredana De Petris aveva spostato in commissione Istruzione la senatrice Maria Mussini, ex 5 Stelle. Mossa ragionevole e quasi dovuta, essendo la Mussini prima firmataria della legge d’iniziativa popolare sulla riforma della scuola che rappresenta l’alternativa materiale al ddl Renzi-Giannini.

Lo spostamento rientrava appieno nei diritti sia della senatrice in questione che della presidenza del Misto, e infatti Maria Mussini aveva già ricevuto la convocazione per la riunione della commissione fissata per ieri pomeriggio. Mercoledì sera, però, è arrivato lo stop del presidente Grasso, prima con telefonata notturna a casa di Loredana De Petris, poi con lettera formale recapitata ieri mattina. Niente da fare: spostamento vietato ai sensi dell’articolo 21, comma 3, del regolamento di palazzo Madama. In caso contrario si sarebbe alterato l’equilibrio tra maggioranza e minoranza. Per difendere l’ardita tesi, il presidente Grasso si è dovuto produrre in un doppio salto mortale. Ha dovuto iscrivere d’ufficio all’opposizione il senatore del Gruppo Popolari per l’Italia Tito Di Maggio, dimenticando che il medesimo siede in commissione come sostituto permanente della collega Angela D’Onghia, sottosegretaria peraltro proprio all’istruzione. Di Maggio, dal canto suo, ha prontamente smentito il secondo cittadino dello Stato con un comunicato al vetriolo: «Con una sola decisione Grasso è riuscito a chiarire due concetti: il primo è che la sua presidenza è esercitata in totale favore della maggioranza; il secondo è che i parlamentari con autonomia di pensiero non devono esistere, soprattutto se militano nella maggioranza».

Il problema, in tutta evidenza, non è affatto rappresentato dal rispetto dei regolamenti, bensì dagli equilibri in commissione. La maggioranza gode lì dello stesso margine di cui dispone nelle altre commissioni: conta 14 esponenti contro 12 dell’opposizione. Ma nei banchi del Pd siedono due senatori della minoranza più agguerrita, Walter Tocci e Corradino Mineo, quest’ultimo già spostato d’autorità dalla commissione Affari costituzionali nel corso della discussione sulle riforme istituzionali e con ogni probabilità in procinto di essere allontanato anche dal nuovo approdo: il primo caso di «senatore itinerante». Di conseguenza garantirsi una maggioranza più larga del dovuto diventa indispensabile.

Il colpo di mano non poteva ovviamente passare inosservato. In aula Loredana De Petris ha protestato, il capogruppo Pd Luigi Zanda ha risposto a ruota libera, rinfacciando al gruppo di Sel di esistere solo grazie al Pd (dimenticando però, come gli ha poi ricordato proprio Mineo, che senza Sel il Pd non avrebbe preso il premio di maggioranza alla Camera e sarebbe minoranza al Senato). Le senatrici Mussini e De Petris hanno improvvisato una conferenza stampa. La prima si è detta senza mezzi termini «disgustata». La seconda ha attaccato di nuovo: «La verità è che sulla scuola sono già in atto manovre e trucchi». Tutte le opposizioni hanno solidarizzato con loro e protestato contro il comportamento di Grasso. La replica è arrivata nel pomeriggio: gelida e burocratica: «La presidenza si è limitata a chiedere designazioni coerenti con il regolamento». Risposta a stretto giro: «Non c’è peggior sordo di chi non vuol sentire». Caso chiuso.

Con un avvio del genere, senza contare la scelta di tenere aperta la commissione durante la pausa elettorale (si lavorerà anche il 27 e 28 maggio), si può scommettere che ci saranno i fuochi d’artificio. Sparati non dall’opposizione ma da Renzi, Zanda e Grasso.

Ma la minoranza dem non dispera: «Con qualche correzione ancora al Senato – dice Pierluigi Bersani – tutti saranno felicissimi di votare. Queste storie che vogliamo buttare giù Renzi sono offensive. Stiamo dicendo cose di merito». Commenta sarcastico Pippo Civati: «Posizione durissima, che mette a repentaglio la stabilità del governo: sì, ciao».