Al mattino non ammette gli emendamenti sull’elezione diretta del presidente della Repubblica – perché riguardano la forma di governo, come se il resto dei colpi assestati al regime parlamentare trattassero d’altro -; al pomeriggio cava d’impaccio la ministra accogliendo un ordine del giorno che impegna il governo – il governo! – «a individuare modalità di elezione del capo dello stato volte a rafforzare il ruolo di garanzia e di terzietà» e comunque non adesso, magari alla camera; a sera si tuffa nella bolgia degli emendamenti alla riforma del Titolo V impedendo ogni discussione e togliendo la parola a tutti dopo un minuto. Ma nemmeno lo zelo del presidente del senato Grasso può produrre miracoli. Alle nove di sera, quando i senatori rientrano da una breve sospensione, restano da approvare 15 articoli con i relativi emendamenti, quasi tutti non più «cangurabili». E alcuni nodi sono ancora da sciogliere, con proposte dei relatori su referendum abrogativo e propositivo arrivate all’ultimo momento e alcuni dissensi nella coppia Finocchiaro-Calderoli. La passerella finale che Renzi si era apparecchiato per oggi, con un giorno di anticipo, traballa; di certo non sarà stamattina.

Il primo intoppo l’aula lo trova sull’articolo 21 del disegno di legge di riforma costituzionale, quello che cambia le regole per l’elezione del capo dello stato. E adesso consegna alla maggioranza blindata dalla legge elettorale maggioritaria la possibilità di fare da sé (dopo otto scrutini, certo, ma potendoci fare conto fin dal primo). Depennati gli emendamenti per l’elezione diretta, restava la proposta parecchio osé del bersaniano Gotor di allargare la platea dei grandi elettori agli eurodeputati eletti in Italia. Idea pericolosa per il Pd perché sostenuta da molti alleati, e allora ecco la relatrice Finocchiaro, poi il capogruppo Zanda e alla fine anche la ministra Boschi riscoprire le virtù del bicameralismo: «Perplessità fondate, risolveremo alla camera». Cioè, come dice il senatore Chiti, «si individuano i problemi, ma non se ne risolve neanche uno». Al governo interessa correre, e magari anche lasciare un po’ di spazio di intervento all’aula di Montecitorio. Che certo non penserà mai di ridurre anche il numero dei deputati come quello dei senatori – unica vera chance per riequilibrare la scelta del presidente della Repubblica – ma magari ascolterà il surreale ordine del giorno dei centristi che mette nero su bianco il dominio del governo sulla revisione costituzionale. Protesta anche il relatore Calderoli: «Ci impegniamo a fare in futuro una cosa e non la facciamo quando potremmo farla, mi sembra allucinante». La promessa e il disinteresse dei «dissidenti» di Forza Italia bastano però ad affondare l’emendamento Gotor.

Poi la corsa si incaglia sul Titolo V e in serata a Grasso succede nella conduzione la vicepresidente Fedeli senza che la musica cambi, col risultato che i 5 Stelle tornati dall’Aventino sono costretti alla gazzarra. Il Pd accarezza l’idea di non chiudere la discussione neanche a mezzanotte, quando però l’obiettivo di condurre oggi in porto la riforma appare irraggiungibile. Resta da discutere della procedura legislativa del nuovo bicameralismo non paritario. E dei referendum. Per quello abrogativo i relatori hanno inventato il doppio binario: quorum «mobile», cioè legato al numero dei partecipanti al voto delle elezioni politiche, per i quesiti sostenuti da 800mila firme; quorum fisso al 50% più uno degli aventi diritto per i referendum sostenuti da 500mila firma (così come previsto oggi): una soluzione assai poco logica che non soddisfa Sel. Nel testo compare anche un riferimento al referendum propositivo, ma solo per rinviarlo a un’altra eventuale, e comunque futura, riforma costituzionale. E sulla strada dei velocisti di maggioranza si piazza anche la recessione, visto che arriva la richiesta al governo di riferire in aula sui catastrofici dati dell’Istat sul Pil, e c’è sempre la nuova fiducia sul decreto competitività da votare prima delle ferie estive. Oggi dunque sarà ancora maratona, l’ultima. Poi la diretta tv per le dichiarazioni finali e l’apparizione di Renzi in aula: stasera in prime time o più probabilmente domani.

E nel dopocena, a voto segreto, nella ridda di votazioni elettroniche senza dibattito sul Titolo V, le opposizioni hanno la meglio sulla maggioranza che per quanto ampia presenta numerosi buchi tra i banchi. Passa con cinque voti di scarto un emendamento di Sel all’articolo 30 del disegno di legge di revisione, con il quale si inserisce tra le materie di competenza legislativa delle regioni anche la rappresentanza in parlamento delle minoranze linguistiche.