Dopo i giorni di lavorìo, gli stop and go, i tavoli pubblicamente rovesciati e poi silenziosamente rimessi in piedi, alla fine l’intesa sul senato c’è, o ci sarebbe almeno a dare retta alla grancassa renziana. L’armistizio tra la minoranza del Pd a Palazzo Madama e Renzi potrebbe basarsi su un testo che non ha certo la sintassi epica di un trattato di pace ma quella modesta di un pensiero di don Abbondio: «La durata del mandato dei senatori coincide con quella degli organi delle istituzioni territoriali dai quali sono stati eletti, su indicazione degli elettori in base alle leggi elettorali regionali». La frase verrebbe aggiunta al comma 5 dell’ art.2 della riforma costituzionale. Il «lodo» a cui sta lavorando la presidente Anna Finocchiaro con la ministra Boschi e il sottosegretario Luciano Pizzetti prevede infatti di mantenere invariato il comma 2 dell’art. 2, in cui si afferma che «i consigli regionali eleggono i senatori tra i propri componenti».

La minoranza – secondo i desiderata di Boschi – porterebbe a casa la vittoria – si fa per dire – giusto simbolica di aver costretto la maggioranza a cambiare l’articolo della discordia; la maggioranza incasserebbe l’enorme risultato di approvare la riforma senza il ricorso decisivo ai voti di Verdini e dell’altrimenti indispensabile soccorso azzurro, con conseguente cambio di maggioranza e interessamento del capo dello stato. Data per conclusa l’operazione, ieri la ministra Boschi ieri era magnanima: «Noi abbiamo dimostrato con i voti che ci sono stati in senato nei giorni scorsi che i numeri per approvare le riforme costituzionali ci sono in modo ampio. Però io credo che sia un bene, ovviamente per tutti, cercare un consenso ampio». Un “bene” necessario, per la verità, anzi indispensabile per il proseguimento della presidenza Renzi.

Una parte della minoranza del resto non vede l’ora di uscire, provando a salvare la faccia, dal duro scontro con l’artiglieria pesante di palazzo Chigi di stanza a Madama. Ieri, mentre si diffondeva con rapidità sospetta la notizia dell’accordo imminente, da Milano è arrivato infatti il sospiro di sollievo di Gianni Cuperlo. L’ex sfidante di Renzi era impegnato nel primo incontro per unificare la sua corrente Sinistradem con quella dei bersaniani ’irriducibili’ (ma evidentemente in parte già ridotti alla firma della pace), con un occhio alle primarie milanesi (è intervenuto il sindaco Pisapia a perorare la causa delle primarie di coalizione). L’accordo «per la minoranza non sarebbe un pareggio fuori casa», ha detto, «ma un saldo attivo. Non vince qualcuno e perde qualcun altro, vince la democrazia italiana». Incolpevole democrazia italiana a parte, l’interesse a far risultare l’intesa come win-win è della maggioranza e di quelli che nella minoranza si apprestano a bere l’amaro calice.
Non tutti. Bersani fiuta la trappola e mantiene le posizioni: «Vedo che ci sono affermazioni di buona volontà, noi diciamo una cosa che capiscono anche i bambini: che il Senato debba essere elettivo, devono decidere gli elettori. Questo deve essere chiaro e va scritto. Semplicissimo e da qui non ci si scosta». E il testo dell’accordo, se fosse quello che circola in queste ore, non parla affatto di elezione diretta ma di «indicazione degli elettori». Fra i due concetti ce ne corre.

Ma la maggioranza renziana fa finta di non saperlo, magari per precostituire le condizioni per poi accusare la minoranza di troppe pretese: «Sembra che voglia irrigidire le posizioni per rompere. Andremo avanti con spirito di apertura ma non accettiamo veti» (Lorenzo Guerini). «Alzare continuamente la posta potrà essere una tattica accettabile a poker, ma è sconcertante quando si parla di un tema serissimo come le riforme istituzionali» (Debora Serracchiani). In serata, dalla festa di Left Wing a Torino, Matteo Orfini introduce una nuova specie alla voliera Pd: «Speriamo che i falchi vengano isolati e prevalga il buonsenso». Dopo i gufi dunque i falchi, la nuova etichetta per ridurre quelli la minoranza a colleghi di Brunetta. Ma è un gioco d’azzardo e potrebbe non funzionare. Infatti il senatore Massimo Mucchetti avverte: «L’intesa è a portata se si modifica l’art.2. Anche con un intervento ’chirurgico’. Basta scrivere tre parole: suffragio universale diretto. Non siamo estremisti ma nemmeno, come si dice dalle mie parti, ’ciula’ ovvero degli allocchi. Comunque continuo a confidare che prevalga la saggezza. Altrimenti Renzi la riforma la faccia con Verdini».