L’ospite d’onore è il presidente emerito Giorgio Napolitano. Si presenta a sorpresa alla riunione della commissione Affari costituzionali del Senato, dove la presidente Anna Finocchiaro sta per leggere la sua relazione sulla riforma della Costituzione, arrivata alla terza lettura su quattro. La presenza di re Giorgio è l’unica sorpresa in una giornata dove persino le virgole sono prevedibili, con ogni decisione rinviata a oggi, quando la palla passerà all’ufficio di presidenza della commissione.

Nella sua relazione, volutamente piatta, la presidente non è andata oltre l’enumerazione dei punti della riforma modificati alla Camera, quelli su cui si può quindi intervenire nel secondo giro di letture. Ne è emerso che il Senato, dopo il passaggio a Montecitorio, ha perso anche le poche prerogative che nel testo originale conservava.

Sul vero punto dolente, la possibilità di intervenire sull’articolo 2, quello che regola le norme per eleggere i nuovi senatori e che è stato sì ritoccato a Montecitorio, però in forma minima, Anna Finocchiaro non ha detto nulla. Del resto la decisione compete solo al presidente del Senato. Ma non ha neppure accennato al nodo cruciale dei tempi: la possibilità che tutto slitti a dopo la pausa estiva. Che il governo sia fortemente tentato dal rinvio a dopo agosto è certo, e in questa direzione sembrano tirare anche i vertici pd a palazzo Madama, il capogruppo Luigi Zanda, la stessa Finocchiaro. Ma che la decisione ancora non sia affatto presa lo chiarisce la ministra Maria Elena Boschi, ancor prima che la riunione inizi: «Si può fare un buon lavoro anche prima di settembre. Il referendum nel giugno 2016 resta un obiettivo politico».

Di argomenti che consiglierebbero il rallentamento ce ne sono a mazzi. I tempi stretti, prima di tutto: iniziare a votare in commissione prima del 20 luglio è escluso, e a quel punto bisognerebbe andare a rotta di collo per chiudere in aula entro l’8 agosto. Poi l’ingorgo, che è diabolico. Tra Pubblica amministrazione, Rai e decreti in scadenza il raccordo paralizzato al confronto è una passeggiata. Solo che nessuna di queste pur valide argomentazioni è quella vera. Il problema sono i numeri: in commissione e poi anche in aula.

Cose che capitano quando l’abitudine di passare da un gruppo a un altro diventa la norma: al momento, in commissione, maggioranza e opposizione sono in parità, ciascuna con 14 senatori, e il presidente di palazzo Madama Pietro Grasso ha già segnalato che non dispone di mezzi regolamentari per intervenire. Maggioranza inesistente dunque, non esigua, e oltretutto infida. Tre fra i senatori del Pd fanno parte della minoranza. I tre targati Ncd hanno già affossato il governo una volta, nel voto sulla scuola. In aula il quadro non è molto più consolante: la maggioranza è esigua, meno di 10 voti. Se i 25 senatori ribelli del Pd terranno il punto diventeranno di vitale importanza i voti di Verdini. Sempre che bastino, e non è detto che alla conta finale arrivino tutti gli 11 o 12 promessi. E sempre che Matteo Renzi abbia lo stomaco di riscrivere la Costituzione con Denis Verdini e il cosentiniano doc D’Anna. I nuovi padri della patria. La pausa aiuterebbe a trattare con la minoranza del Pd, e probabilmente anche con qualche azzurro meno impresentabile.

In questa situazione, Forza Italia prova a giocare la sua carta. «Il Nazareno è morto, ma non è detto che le regole non si possano ugualmente scrivere insieme», lancia l’amo il capogruppo Paolo Romani prima che inizi la riunione dei senatori. Il prezzo del soccorso azzurro, però, non è economico: qualche forma di elezione diretta e soprattutto premio di maggioranza alla coalizione e non alla lista. Il Matteo Renzi del 40% non ne avrebbe neppure parlato. Quello di oggi, chissà?