Diego Kenis è un noto mediattivista del collettivo di Bahia Blanca, Agencia Paco Urondo, intitolato al nome di un grande poeta, giornalista e attivista politico argentino, assassinato durante l’ultima dittatura militare.

Abbiamo sentito il suo parere sulle misure liberticide prese dal presidente-imprenditore, Mauricio Macri, che colpiscono anche la stampa.

Qual è la situazione in Argentina?
La situazione peggiora ogni giorno. L’inversione di tendenza è così evidente che il nuovo governo, comandato dall’uomo d’affari Mauricio Macri, abroga leggi che non gli piacciono a colpi di decreti «di necessità e urgenza», leggi fondamentali emanate nel decennio precedente, come quella che impedisce il monopolio dei media, o di nominare i giudici della Corte Suprema senza il consenso del Parlamento, dove la maggioranza è kirchnerista. In economia e in ambito costituzionale, il presidente è anche in contraddizione con molte delle cose da lui dette nella recente campagna elettorale, e ignora gli altri due poteri dello Stato o ne invade le incombenze. In parallelo ai decreti, vediamo licenziamenti a livello statale, detenzione di attivisti sociali, repressione nei quartieri poveri e misure economiche che innescano l’inflazione, aumentano anche le tariffe dei servizi pubblici, calando come una mannaia sul potere di consumo della classe operaia, inaugurando un circolo vizioso che l’Argentina aveva cercato di allontanare per moderare gli effetti della crisi economica internazionale iniziata nel 2008. Tutto questo, grazie all’ermetica blindatura mediatica da parte del Gruppo Clarin e di gran parte dei media, che richiedono la pubblicità del governo per la loro sopravvivenza, e l’assenza di molte voci critiche ora allontanate dai microfoni e dalle redazioni, statali o private.

Quali sono le forze sociali capaci di invertire la tendenza, e con quali possibili scenari?
È difficile fare previsioni, la situazione è inedita. Per la prima volta, la destra vince senza nascondere il suo discorso, senza dover inviare un militare assassino o un civile traditore dei suoi principi a esercitare il potere. È anche la prima volta che un presidente, o una presidente, in questo caso Cristina Fernandez, conclude un mandato con un alto indice di popolarità. Infine, quello dello scorso novembre è stato il primo ballottaggio della storia elettorale argentina, che aggiunge un’altra novità: il macrismo già ha tradito le promesse fatte solo due mesi fa e l’elettorato ne sta prendendo atto. In Argentina si parla di tre mesi «di grazia» per il presidente che assume l’incarico. In questo caso saranno finiti quando papa Francesco riceverà Macrì, il 27 febbraio, nel segno di una relazione che preoccupa molto il governo. Il papa è argentino e quindi ha doppio peso. E in questi giorni ha inviato un rosario alla parlamentare indigena Milagro Sala, in carcere. Secondo alcuni giornali che non sono per nulla kirchneristi, Francesco non sarebbe molto felice dopo i primi atti del nuovo presidente. Oltre a questo, di certo quando passerà la sbornia trionfalistica, la verità verrà fuori e il panorama sarà più chiaro. Quello che sappiamo oggi è che Macri ha vinto per una piccola differenza (700.000 voti) su Daniel Scioli, che ha raggiunto il miglior risultato del kirchnerismo in un’elezione presidenziale dopo lo storico 54% di Cristina Fernandez nel 2011. Tutto il resto sarà da vedere, perché il campo popolare è anche di fronte a una nuova fase. In questi giorni si discute se il nodo dell’azione deve partire dall’interno del Partido Justicialista o dal Frente para la Victoria, a cui il Pj partecipa insieme ad altri partiti di centro-sinistra. Sono anche comparsi quelli che vogliono espellere il kirchnerismo dal justicialismo, certo. Ma la maggior parte dei leader sembra voler aspettare fino a marzo per svelare le loro mosse e strategie. Nel frattempo, e qui è un’altra indicazione di possibili nuovi attori per il cambiamento, si succedono le manifestazioni di massa, in molti casi di autoconvocati senza nessuna militanza politica o inquadramento nelle organizzazioni di base. Si spera che tutto questo interroghi nel modo giusto anche i leader politici e sindacali.

E il caso di Milagro Sala?
Milagro Sala è una leader di una organizzazione molto rispettata del nord dell’Argentina, il Tupac Amaru, che ha un’attività sorprendente. Da settimane, Milagro è illegalmente detenuta su richiesta del Procuratore di Stato, il governo provinciale di Jujuy e della giustizia della provincia. La sua custodia cautelare non è solo ingiustificata ma viola anche l’immunità parlamentare di Sala, eletta al Parlasur lo scorso novembre. Un atto inaudito che, ogni giorno di più aggrava la responsabilità internazionale dello Stato argentino, che dovrebbe tutelare i diritti umani e le garanzie individuali e collettive. L’arresto di un referente politico come Sala è un chiaro avvertimento contro la protesta sociale e minaccia il diritto di petizione alle autorità, in linea con il pensiero degli avvocati che il governo ha cercato di far diventare membri della Corte Suprema, senza consultare il Parlamento. Di recente abbiamo avuto un’ulteriore prova di questo clima, quando la Gendarmeria ha fatto irruzione in un quartiere, e i proiettili hanno ferito i bambini che stavano danzando la murga. È stato licenziato un gruppo di lavoratori delle industrie militari, che negli ultimi anni stava anche producendo strumenti per la vita civile, come ad esempio carri merci su rotaia. Negli incontri precedenti con i lavoratori, gli inviati del governo avevano detto che non sarebbero stati prodotti più carri, che sarebbero stati importati e che le industrie militari avrebbero dovuto concentrarsi sullo sviluppo di proiettili, «di cui ci sarà una maggiore domanda ora». Questa definizione riassume e descrive esattamente come un modello economico regressivo e la repressione della protesta sociale abbiano bisogno l’uno dell’altro. Il governo ha anche cercato di mettere a tacere le voci critiche: la settimana scorsa ha licenziato dieci lavoratori dell’eccellente sito web di notizie Infojus Notizie e il lunedi scorso è arrivato il gran finale alla Radio Nacional, il cui nuovo direttore ha ammesso il licenziamento di giornalisti per ragioni ideologiche. «Ho controllato il tuo Twitter», ha detto al giornalista Jorge Halperin, davanti alle telecamere e giornalisti, a mo’ di spiegazione per l’allontanamento degli editorialisti. Infine il governo ha cominciato a smantellare le strutture amministrative e professionali che contribuiscono ai processi per crimini contro l’umanità, orgoglio argentino nel mondo per più di un decennio.