Cuba ha avuto satisfaction. Non solo una notte «inolvidable» di rock, con i Rolling Stones, in un concerto gratuito e con tutti i crismi di un gran evento moderno, schermi, luci, altoparlanti con 1,3 kilos di suono, una cosa mai vista prima. Ma una specie di riconciliazione generazionale, tra mayores, con i capelli brizzolati o decisamente bianchi , occhiali da vista, che hanno per decenni sognato un concerto rock di questo tipo e i giovani reguetoneros che però hanno gridato e ballato. Insomma, venerdì notte nella Ciudad Deportiva, è sembrata scomparire la frattura generazionale che molte volte divide Cuba. Intere famiglie al concerto, i giovani alla scoperta del nuovo e propensi – spesso sbagliando- a cercarlo solo fuori dall’isola e i più anziani che vedevano concretizzato un sogno che per anni è stato impossibile tradurre in realtà.

Insomma, ci ha preso Mick Jagger quando ha detto: «Sappiamo che prima era difficile per voi ascoltare la nostra musica, però ora siamo in questa bella terra. I tempi stanno cambiando, vero?». In risposta un coro misto di molti «sì» ma anche di sonori «no». Anche questa differenza di opinione gridata a tutto volume è cosa non da tutti i giorni nell’isola, sempre più scossa da una settimana che passerà alla storia, prima la visita del presidente degli Stati uniti, per di più favorevole alla fine del «bloqueo», poi gli Stones. «Forse è proprio vero che a Cuba le pietre iniziano a rotolare» commentava il mio vicino Luis.

«Cuba saca la lengua», sosteneva Yerena, con il simbolo della banda dipinto nella faccia: «È un evento – dice – che segna un’impronta positiva nella storia dei concerti a Cuba. È un prima e un poi, non ho dubbi. E il pubblico dell’isola lo merita. Viva gli Stones».
Al concerto, nella tribuna Vip, hanno partecipato ministri, funzionari della Nomenklatura, tra cui il consigliere culturale del presidente Abel Prieto, membri del Comitato centrale del partito comunista, i più giovani membri della famiglia Castro, molti musicisti, fra i quali i rockeros David e Ernesto Blanco, umoristi e artisti che vanno per la maggiore.

Ma la maggiore diversità era nel pubblico, enorme, oltre mezzo milione di persona. Si potevano vedere rappers, rastafaris, reguetoneros, repas, tutti i tipi di rockeros, heavys, punks pieni di ferraglia. In una marea di giovani e di cubanos de a pié, gente comune. «Mai vista tanta gente differente», insiste Luis. La grandissima parte partecipa per divertirsi, per ballare e sentire gratuitamente la musica di un gruppo famosissimo. Anche se questa musica non la conoscono, o l’hanno ascoltata solo in parte, magari hanno nelle orecchie Satisfaction e poco altro. Molti sono lontani dalla cultura rock, almeno «vecchia maniera», dal grido di libertà che lo caratterizza; altri, sono per il rock duro, molto metallico, anarchico. La grande maggioranza vuole muovere «la cintura», divertirsi. Così è stato per Carl Luis, accompagnato da «un amigo del barrio» al quale non piace il rock. «Il mio socio è un repa, dice, pensavo che sarebbe rimasto quemado, morto di noia, invece si è divertito più di me»

Per alcuni però, come Mato, il concerto significa un cambiamento dell’immagine del rockero nella società cubana: « Noi rockeros siamo sempre stati malvisti, io ho avuto problemi con i vicini di casa che protestavano per la musica che ascoltavo». «Dove sta il rock sta la libertà, prosegue. Speriamo che questo concerto sia il segnale di un’apertura». E soprattutto si augura che agli Stones seguano altre band, magari di heavy metal o rock alternativo. «Bisogna che continui, perché qui la gente ascolta la stessa roba: reguetón».

Buona musica, ballo, lacrime e gioia e soprattutto «tanta energia». E senza che vi sia stato un incidente di rilievo. Lo ha detto apertamente Armando, un giovane mulatto, che viene da un barrio duro, dove spesso il sabato sera dopo ore di musica, ron e cerveza, i giovani tirano fuori il ferro e ci scappa il ferito. «Non sono fanatico degli Estones. Però questa sera sento che qui c’è stata buona energia. Pensavo che probabilmente sarebbe scoppiata una bronca però così non è stato.

Tutto il mondo se l’è goduta, divertendosi assieme agli altri». E proprio questo è stato un altre grande e importante risultato e insegnamento. Centinaia di migliaia di persone accalcate nella Città sportiva ad ascoltare una musica che parla di ribellione, ricerca di libertà, con relativamente poca polizia e poi ore per defluire –vi erano punti segnalati in precedenza dove attendevano le guaguas per riportare a casa la gente- e senza una rissa di rilievo. «Hola Avana», aveva salutato Jagger all’inizio del concerto. E la Habana ha risposto con calore, energia e simpatia.