La corsa comincerà martedì prossimo. Il senato tenterà di approvare il disegno di legge Renzi-Boschi – «disposizioni per il superamento del bicameralismo paritario, la riduzione del numero dei parlamentari, il contenimento dei costi di funzionamento delle istituzioni, la soppressione del Cnel e la revisione del Titolo V della parte seconda della Costituzione» – entro la pausa per le elezioni europee (25 maggio). Così vuole il governo, così chiede Renzi che ieri ha dovuto respingere le critiche di chi (Bersani) ha visto nella fretta l’esigenza di piantare una bandierina in campagna elettorale: «Non siamo qui per piantare bandierine ma per cambiare l’Italia», ha detto il presidente del Consiglio. Anche la ministra Boschi, impegnata in un’audizione alla camera, ha confermato che la sfida è ancora valida: «Arrivare all’approvazione della riforma in prima lettura entro il 24 maggio è un obiettivo ambizioso, realizzabile, necessario e non più rinviabile». Assai difficile, anche.

Per posare la prima pietra delle nuove istituzioni della Repubblica, il senato ha a disposizione poco più di un mese: la metà del tempo che ha impiegato Renzi per mandare in parlamento il suo testo di legge costituzionale, presentato alla direzione del Pd il 6 febbraio scorso. Tra vacanze e ponti i senatori lavoreranno assai poco nel «mese decisivo» (Renzi dixit) di aprile. E a palazzo Madama il calendario d’aula di maggio è già affollato da decreti in scadenza. Ce ne sono almeno tre – emergenza abitativa, rilancio dell’occupazione e tossicodipendenze – che avranno la priorità su tutto il resto.

La presidente della commissione Finocchiaro, anche relatrice assieme al leghista Calderoli, ha già lasciato intendere di voler partire di slancio, adottando il testo del governo come testo base (da ieri atto senato 1429). Allo stesso obiettivo miravano le pressioni dei vertici del Pd perché venissero ritirati i progetti concorrenti, primo fra tutti quello firmato da Chiti con una ventina di senatori del gruppo. Ma di progetti di legge sul bicameralismo ce ne sono più di una dozzina, quattro o cinque solo del Pd, e tutti dovranno essere compresi nelle relazioni che martedì segneranno il fischio d’inizio. Il passaggio successivo sarà la richiesta di audizioni, che in genere impegnano il lavoro di commissione per tutta la prima settimana. L’intenzione della maggioranza Pd è di ridurre al minimo questo passaggio rituale. È però incontestabile che il momento richiede una qualche solennità, visto che il parlamento si sta accingendo a cambiare i connotati della Repubblica.

«Sono 30 anni che si discute di riforme», ha ripetuto spesso Renzi, motivando anche così la sua fretta. Ma un seminario non si nega a nessuno, e così il segretario del Pd ha annunciato ieri non uno ma due appuntamenti di riflessione (il secondo è sul lavoro) ai quali intende invitare anche i «professori», cioè i costituzionalisti che tanto hanno criticato la sua proposta di riforma. Non che manchino professori favorevoli, che anzi si riuniranno a convegno già oggi con la presenza della ministra Boschi – mentre di tutt’altro segno è un appuntamento del Centro riforma dello stato con tra gli altri Dogliani, Azzariti e Rodotà ma senza la ministra.

Martedì, prima della commissione, i senatori del Pd si riuniranno ancora per cercare un’intesa sugli emendamenti. La dispersa minoranza ha assunto su di sé l’obiettivo del 25 maggio, ma certo non sarà in prima linea nel contrastare il prevedibile ostruzionismo del M5S. Renzi non lascia passare giorno senza un richiamo all’ordine, ieri con una premessa: «Non evoco la disciplina di partito alla quale sono stato più volte richiamato e alla quale mi sono sempre attenuto». Ma… «la direzione ha già votato e alle primarie abbiamo chiesto il consenso su un modello di riforma». Peccato che nella mozione Renzi nulla si diceva su bicameralismo e senato. Alla direzione del 6 febbraio, poi, fu presentata una proposta assai diversa.