Il complesso e frammentario sistema agricolo degli altipiani dell’Etiopia, che si stende tra valli e montagne che superano i 4500 metri, poggia su millenni di coltivazioni principalmente di grano, orzo e altri cereali in regime di sussistenza. Ciò ha favorito lo sviluppo di migliaia di distinte varietà tradizionali selezionate dagli stessi contadini per le loro caratteristiche di desiderabilità e resistenza agli stress ambientali. Come genetisti dell’Istituto di Scienze della Vita della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa, ci interessa descrivere e caratterizzare la diversità delle risorse genetiche di interesse agronomico; è infatti da questa diversità che dipende la possibilità di produrre nuove varietà che meglio rispondano alle difficili sfide dei cambiamenti climatici e della crescita della popolazione mondiale.

NEL SISTEMA di agricoltura marginale che si conduce in Etiopia, gli input agricoli a cui il mondo occidentale è abituato sono pochi o nulli: l’irrigazione la fa la pioggia, il fertilizzante i buoi e la resistenza alle malattie deve essere innata nella pianta. La resilienza di questo sistema è molto limitata e i contadini devono essere molto attenti a selezionare le varietà migliori per un dato ambiente. La conoscenza tradizionale che li guida è stata affinata per farlo nel migliore dei modi ed è la chiave per identificare e produrre nuove varietà che meglio si adattino a questo regime di coltivazione. Per queste ragioni abbiamo chiesto a Tsegaye, Letekidan, Hiluf, Mulugeta e ad altri 56 contadine e contadini di sussistenza dell’Etiopia di lavorare con noi per spiegarci cosa rende loro desiderabile il grano. Moderni approcci di sequenziamento genetico ci hanno poi permesso di identificare geni e regioni geniche che determinano tale desiderabilità, trasportando l’antica sapienza contadina nell’era della genomica del grano.

Con i contadini di Melfa e Workaye, due comunità del Tigray e dell’Amhara, abbiamo valutato 400 varietà di grani tradizionali etiopi per diversi caratteri di loro interesse, come la precocità e le dimensioni della spiga. L’incontro con culture così differenti, per chiunque l’abbia provato, non è un’esperienza che passa senza lasciare traccia. Nei villaggi dei contadini c’è povertà, ma raramente miseria.

CI SONO LE TORME di bambini che si incantano tormentandoti i capelli lisci (una assoluta stranezza), ci sono gli uomini e le donne egualmente coinvolti e capaci nella coltivazione, che si trovano discutere di fronte ad ogni varietà delle rispettive preferenze e aspettative. Le poche cose che posseggono non impediscono loro di praticare la più calorosa ospitalità e il massimo entusiasmo nella condivisione della conoscenza delle colture locali. C’è un rapporto molto stretto tra loro e ciò che coltivano, una sapienza assoluta e senza esitazioni. Questa varietà ha una buona precocità. Quest’altra ha una spiga che mi piace ma è troppo bassa, perché non mi darebbe paglia sufficiente per mantenere le bestie. Questa resiste alla siccità, la vorrei coltivare. È questa l’essenza del miglioramento genetico delle piante per selezione e incrocio, sentita dalla viva voce di chi da queste piante dipende, una questione di vita o di morte.

IL FATTO che così tanti contadini abbiano deciso di investire una parte consistente del proprio tempo nell’interazione con noi è segno della relazione di fiducia che si è istaurata tra noi ricercatori e loro, ma è chiaro che questa fiducia poggia su delle aspettative di reale contributo al miglioramento delle colture e del livello di vita delle loro famiglie, che solo in parte e col tempo possiamo soddisfare. Il senso di responsabilità nei loro confronti che ne deriva ha cambiato la percezione del nostro lavoro e trascende la ricerca genetica. Insieme abbiamo lavorato, ma anche e soprattutto condiviso Talla e Tej, birra di grano e liquore di miele, mangiato focacce ed Enjera, ascoltato il Masinko. Ci siamo confrontati con immaginari differenti e sovente difficili, evitando la percezione e la conseguente restituzione di una comunità bucolica.

Al termine della valutazione di campo, grazie ai 60 contadini coinvolti, abbiamo raccolto oltre 130.000 dati che rappresentano la preferenza individuale di ciascuno di loro per una certa caratteristica di una determinata varietà grano. Questa collezione di dati ci ha permesso di utilizzare metodi statistici che, con la caratterizzazione genetica delle varietà valutate, hanno permesso per la prima volta di identificare le basi genetiche della conoscenza tradizionale contadine nel grano duro.

QUESTA INFORMAZIONE ha una rilevante valenza scientifica e sociale, perché colloca i contadini al centro del processo di selezione e produzione di nuove varietà vegetali senza rinunciare a strumenti scientifici d’avanguardia. Il sistema corrente di creazione e distribuzione di varietà vegetali è infatti strutturato in una forma centralizzata che, seppure altamente efficiente, non sempre riesce a rispondere alle esigenze dell’agricoltura marginale praticata nel sud del mondo. In questa parte del mondo, infatti, il grano non è solo giudicato in termini di quantità di produzione, ma anche e soprattutto di colore per la vendita sul mercato, di qualità della farina per la produzione delle pietanze tradizionali, di capacità di crescita nelle specifiche condizioni in cui viene coltivato.

L’INTEGRAZIONE del sapere tradizionale dei contadini nelle pratiche di miglioramento genetico internazionale permetterebbe di avvantaggiarsi dei frutti di una tradizione millenaria, al contempo ponendo le basi per sviluppare nuove varietà che rispondano prima di tutto alle necessità dei contadini stessi. I contadini di Melfa e di Workaye sono protagonisti assoluti di questa ricerca. Per questo, negli articoli scientifici su riviste internazionali che ne sono risultati, i loro nomi sono elencati al pari di quelli degli altri autori provenienti dalla Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa, da Bioversity International, dall’istituto agronomico della regione di Amhara (ARARI) e dall’università di Makallè che hanno immaginato e condotto questo progetto sul campo.

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OGGI A BOLOGNA LA PREMIAZIONE

Il progetto di Matteo Dell’Acqua con gli agricoltori etiopi di Melfa e Workaye oggi alle 18.30 (Sala Farnese di Palazzo D’Accursio, piazza Maggiore) verrà premiato nell’ambito del «Bologna Award 2017», per la produzione agroalimentare sostenibile.  Il riconoscimento è indetto dal Caab(Centro Agroalimentare di Bologna) con Fondazione Fico, a cura di Andrea Segrè. Il calendario di incontri e il programma completo al sito www.bolognaaward.com

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