Il giardino di una vita è quello disperso tra mille cortili e balconi, tra mille case nelle quali ho abitato solamente per una stagione e che ho dovuto, nella mia esistenza precaria, abbandonare. Il giardino della mia vita sta nei bidoni di plastica, quando, alieno da ogni moda di facile riciclaggio, per necessità e per economia, ho imparato a praticare fori col chiodo arroventato nei contenitori di plastica recuperati per strada accanto ai cassonetti dell’immondizia e che, con terreno di risulta, seminandoci dentro o riproducendo per talea gerani o aromatiche, facevo diventare piccoli paradisi di verde cortili abbandonati.

IL GIARDINO DELLA MIA vita sta anche nei pochi vasi lunghi verdi da geranio che ho potuto coltivare in casette di condominio, spazi verdi strappati con le unghie e con i denti su balconcini di pochi decimetri quadrati. Il ricordo più fulgido e luminoso di questo giardino itinerante e precario, questo giardino della mia vita che è iniziato nella rovente estate del 1982 in costiera amalfitana e non ha mai smesso di accompagnarmi, sta in una palma, una phoenix canariensis che ancora oggi svetta a Pontone, frazione di Scala, sopra Amalfi, a cavallo tra il vallone che divide Amalfi da Atrani e che ha in faccia la meravigliosa Ravello.
Quella palma, ora, grande, la posi a dimora nel cortile di Luisa mia suocera e mia cognata l’ha portata con sé. Quella palma, come tante altre poste a dimora, donate, disperse, figlia solamente dell’amore di dare vita ad una pianta. Quel sole di quell’unica palma mi accompagna e mi porta gioia, sono sicuro che mi porta fortuna. Una phoenix, la fenice viridescente della resurrezione. Sono certo che aver scommesso sulla vita di queste piante, di queste creature mi abbia arrecato gioia e sorriso, mi abbia fornito della capacità totale di immergermi nel mondo vegetale fino a poterci annegare dentro e mai morire.
Il mio giardino di una vita è una scommessa disperata, da emigrante intellettuale e emigrante sentimentale, ho perso e inseguito i miei giardini, piccoli e grandi, ho perso i miei giardini, tutti quelli nei quali ho lavorato la terra con le mie mani e che non ho mai più rivisto: i meravigliosi giardini della costa d’Amalfi che ho curato per pochi soldi o nulla agli amici.
Tutti bellissimi e un giardino assolato a Capri, del compianto Luigi Maglietta, tra i proprietari della famosa cioccolateria Gay Odin di Napoli.

Ed ho lavorato, al seguito di Luigi Daina, tra gli agronomi iniziatori del biologico in Campania, in mille altri posti e giardini. Gli aranceti sparsi nel salernitano, dove tra una discarica abusiva ed un mare di cemento a perdita d’occhio, tra incendi di sterpaglie e fiumi fogna, puoi trovare aranceti con alberi di venti metri, rarissimi, ormai, nella frutticoltura moderna.

I GIARDINI DELLA MIA VITA non sono stati solamente i miei: quando scendevo, e spesso risalivo, per chilometri, le scalinate da Scala ad Amalfi, tutti i limoneti con i loro profumi ed i loro frutti, io li ho considerati miei. Mi sento un abitante vero di quei luoghi, un vero amalfitano, dalla mia prima donna, Eva, alla quale devo questo pollice verdissimo, da lei, scalese, ovvero costierese delle più pure, io debbo questo mio essere amalfitano dentro, perchè quel paesaggio, quella bioregione, io me la porto dentro ed anche nel giardino che costruisco qui, finalmente in un giardino di mia proprietà, dopo oltre 40 anni di girovagare, a Cranno, io cerco di ricostruire quel particolare e determinato habitat mediterraneo.

Perchè se è vero che il giorno in cui moriranno, per gli Amalfitani sarà un giorno come un altro, per me fare giardino significa costruire il paradiso primigenio e per me il giardino primigenio è quello che Wagner ha trovato , ispirandosene per il suo Klingosor, a villa Rufolo a Ravello.

Per me non esiste giardino più bello. Il giardino più bello è quello costruito assieme dall’uomo e dalla roccia, dal vento del mare e dal sole in quella speciale terra che si chiama costa d’Amalfi. E’ il giardino di limoni di Goethe, il giardino di limoni che, grandissimo ed ora espiantato per far posto ad un orribile parcheggio, esisteva alle spalle del Palazzo Mezzacapo a Maiori e che noi bambini di collegio andavamo a razziare, rubando arance e mandarini e limoni. Quel giardino, quell’agrumeto dell’infanzia è il giardino della mia vita.

OGNI QUALVOLTA RIESCO a ritornare dalla mia Lombardia, rivivo nella buccia di quei limoni che ho imparato a mangiare con la buccia, quegli sfusati amalfitani buonissimi, il sapore del giardino dell’infanzia. E qui vivo nella perenne nostalgia, qui ricostruisco un giardino-surrogato. Fin quando, lo farò presto, non allestirò una veranda, una orangerie, una serra per poter albergare gli agrumi, veri pomi delle Esperidi, veri principi e signori di ogni giardino.

Riesco a coltivare i pomodori e sono pomodori antichi, riesco a coltivare una abbondanza di essenze aromatiche mediterranee e solamente in serra potrò avere agrumi.

Quando saranno pronte le serre, sarà la mia delizia, sarò appagato. Per ora le balze di Cranno, questo borghetto sulla cascata di poche anime, ospitano solamente aromatiche, tra i rosmarini e l’elicriso, tra le lavande e le salvie , tra i timi e le santoline, le santoreggie, io vedo spuntare, anche se è solo un miraggio della mente e del cuore, il mio mediterraneo, il mio mare dell’infanzia, il mio grande mare interiore.

MI IMMERGO IN MEZZO A CIASCUNA di queste essenze e annuso, sposto, lavoricchio, semino, aggiusto, tra le viti, i fichi, i nespoli, qui c’è il nocciolo dell’Italia amata dai poeti del Grand tour, qui c’è quell’Italia che potrebbe rinascere e risorgere, ridare, nell’essere un giardino planetario possibile, il via alla rinascita di una Europa più colorata, più sana, meno dipendente dal mercato ed avvinta al cuore. Il giardino è l’antidoto alla morte spirituale. Il giardino è la risorsa ultima per non impazzire di calcolo e freddezza, per non morire di cinismo e spietatezza.

Questo giardino, luogo d’incontri e luogo segreto, luogo di aperture e luogo d’innamoramento.

Questo giardino da sognare da coltivare, questo Eden, questa terra promessa da realizzare. Ciascuno ha il suo, ciascuno ha il suo sogno.

Il mio giardino è un giardino che parte, che saluta, un giardino che accompagna: in questo luogo chi giunge non ne diparte a mani vuote: da questo giardino, da questo piccolo pezzo di mondo, si esce con un abbraccio ed una piantina antica in dono, oppure con una bustina di semi. Questo giardino è un giardino che ci tiene a farsi ricordare. Perchè questo è un giardino di amicizia e ci tiene all’ospite caro e desidera che egli ritorni.

Per questo è necessario che questo giardino sia anche vivaio e luogo di moltiplicazione e riproduzione, sia luogo di divisione per cespi e luogo di infinite talee e margotte, per questo una sana e naturale tecnica di moltiplicazione è alla base della sua stessa esistenza. Questi 850 metri di giardino tutti a balze e saliscendi, stretti tra il bosco ed il torrente Foce, tra la strada e il ciglione sulla provinciale, accanto alla cascata Vallategna, a precipizio e con una vista sulla pianura, questo giardino è un fervente laboratorio, una oasi di biodiversità vivente.

A CRANNO, CHE SI AVVALE dell’amicizia e di una rete di competenze dei seedsavers italiani, tra i quali, io stesso, presidente, per qualche tempo, di Civiltà Contadina, voglio figurare come custode dei semi antichi della tradizione rurale italiana. Qui, finalmente, posso ospitare, rinnovare, riprodurre in purezza.

Nel giardino della mia vita non c’è mai stato posto per schifezze artificiali, per ibridi F1 e F2, non c’è posto per Ogm. Non c’erano nei limoneti della mia infanzia, non c’erano nei campi coltivati da mia madre, non ne rammento l’odore, perché, i maledetti Ogm hanno pure un odore? Non ne rammento nulla e dunque, non devono passare. Non qui, non nel mio campo.

Il giardino della mia vita è un giardino di nostalgie, di ricordi ed anche un giardino di rinascimento possibile, un giardino dove scambiare esperienze ed idee, un giardino dove accogliere ed accomiatare. Voglio attraversare le stagioni della vita che mi è toccato in sorte di vivere nel massimo della bellezze possibile e sento profondamente che la sola bellezza risiede nei fiori e nelle piante. Sento che il ristoro dell’anima passa dai fiori, sento che il frullare delle ali delle api e delle farfalle sia il toccasana più valido per ogni genere di dolore e per accogliere queste creature amiche dobbiamo costruire giardini puliti dalla chimica e viventi nella legge della natura che ammette solamente l’amore. L’amore che si nutre di terra e di lombrichi, di semi antichi che si portano dietro una canzone del passato e la speranza riproducibile ad ogni stagione del futuro.

Qui sta il giardino della mia vita, questo lavoro in cammino della mia esistenza e di quanti mi sorreggono ed interagiscono nel mondo vasto degli amanti della terra.

QUESTO GIARDINO PER CAMMINARCI dentro, per mangiare saporito e per rifugiarsi all’ombra, per cogliere un fiore o per meditare e non far nulla. Per lavorare sodo e per spostare chili e chili di terra, per carezzare e per vangare, per lasciarsi andare.
Il giardino della vita è questo, dove sedersi e riposare e inseguire il percorso di una nuvola e poter rimpiangere o sorridere, così come il genio del momento suggerisce e soprattutto, il giardino, è il giardino di una piccola comunità di cuori, di mani laboriose e di menti competenti ed attente, attente al minuscolo ed al maiuscolo.

Per finire, ma non finirei mai, vorrei poter essere seppellito sotto un albero del mio giardino, diventare humus per il mio cipresso e vorrei poter essere seppellito da mio figlio.

Vorrei poter diventare metamorficamente, io stesso quel cipresso e vivere, vivere i settecento, ottocento anni della sua quieta vita. Vorrei poter svettare sulla pianura e poter guardare oltre. Verso altri giardini, verso altre vite, verso un altro mare.