Travolto in commissione dove sono stati approvati tredici emendamenti soppressivi dei tredici articoli che lo compongono, un disegno di legge costituzionale a prima firma Giorgia Meloni è ugualmente arrivato ieri in aula alla camera. Propone l’elezione diretta del presidente della Repubblica e, approfittando della quota a disposizione dell’opposizione, Fratelli d’Italia ha voluto comunque aprire il dibattito. Cioè sventolare la bandiera di un tema identitario.

Identitario ma confuso, perché malgrado l’elezione diretta a suffragio universale (e a doppio turno) del presidente della Repubblica, il disegno di legge costituzionale firmato da Meloni e da tutti gli altri deputati di Fd’I continua ad assegnare a questo capo dello Stato venuto fuori da uno scontro elettorale un ruolo di garanzia: «Rappresenta l’unità della Nazione e ne garantisce l’indipendenza. Vigila sul rispetto della Costituzione». Eppure sempre lui, questo capo dello Stato bifronte, «presiede il Consiglio dei ministri» e «dirige la politica generale del Governo e ne è responsabile».

Garante ma di parte, questo presidente della Repubblica – immaginato dal partito di Meloni all’avvio della legislatura, ma riproposto dopo l’elezione di Mattarella indicata come prova definitiva della necessità di cambiamento – dovrebbe vedersela con un parlamento in grado anche di paralizzarlo nella sua prima facoltà, quella di indicare il primo ministro. Perché questo disegno di legge costituzionale che cambia la forma di governo del paese (da parlamentare a semi presidenziale) trascura del tutto la necessità di riequilibrare la distribuzione dei poteri, ma si occupa di recuperare una delle proposte di cui da tempo più si discute, quella della sfiducia costruttiva. Presente anche nelle proposte del Pd, ma che, come spiega in aula il deputato dem Stefano Ceccanti, qui «è l’aggiunta casuale di un elemento ordinatorio opposto, perché prevede che il parlamento possa esprimere una maggioranza anche contro la volontà del presidente della Repubblica».

Silenziosa la Lega, Forza Italia è intervenuta per ribadire fedeltà al presidenzialismo, anche se in commissione sono state proprio le assenza di forzisti e leghisti a consentire la bocciatura del testo, come Meloni non ha mancato di fare polemicamente notare. Gli altri partiti hanno invece evidenziato che immaginare una simile rivoluzione in chiusura di legislatura – quando neanche di legge (ordinaria) elettorale si riesce a parlare – è fantascienza. Ci fosse stato il tempo, oltretutto, il “centrosinistra” si sarebbe diviso, visto che Italia viva ci ha tenuto a esprimere un teorico favore per l’elezione diretta e i 5 Stelle una netta contrarietà. Così la seduta è servita solo a cambiare per qualche ora argomento, in attesa di Zelensky. E al relatore Brescia di ricordare a Meloni che in parlamento è giusto discutere di tutto. Lei ha preteso la calendarizzazione della riforma costituzionale, ma proprio lei pochi giorni fa aveva definito lunare il fatto che la camera si occupasse della cittadinanza, con la guerra in Europa.