Sono passati tre anni da quando il genetista cinese He Jiankui rivelò di aver segretamente modificato il genoma di due embrioni umani e di averli, poi, impiantati. Ne sono nati i primi bambini geneticamente modificati, precisamente due gemelle, Lulu e Nana, e un terzo bambino non meglio identificato. Nulla si sa del loro stato di salute attuale e delle conseguenze di una procedura non testata, non autorizzata e dai rischi imprevedibili: He, in seguito licenziato e condannato a tre anni di prigione, era intervenuto con CRISPR/Cas9 sul gene CCR5 al fine di ricrearne una mutazione determinante la resistenza all’HIV.

CRISPR/CAS9 è un sistema di editing genetico. Più specificamente, replicando lo stesso meccanismo che i batteri usano per tagliare sequenze genetiche dai virus per inserirle nel proprio genoma, ricreando così una sorta di memoria immunitaria, le «forbici genetiche» di CRISPR/Cas9 permettono di tagliare il Dna in un punto mirato e di cucirvi codici per inattivare, modificare o integrare specifici geni. L’incertezza principale è tuttora rappresentata dalle «mutazioni fuori bersaglio», ovvero mutazioni genetiche non volute che si attivano in segmenti di Dna diversi da quelli programmati con CRISPR.

A stimolare la ricerca (e a mobilitare fondi sia pubblici che privati), nonostante la mancanza di una cognizione precisa delle reazioni provocate dalla manipolazione del genoma, vi sono molteplici, potenziali, applicazioni strategiche.

«È chiaro che Pechino prevede per l’ingegneria genetica un ruolo centrale nell’agricoltura» spiega ad esempio Jon Cohen, staff writer di Science Magazine «da qui l’acquisizione da parte di ChemChina di Syngenta, azienda leader nelle tecnologie agroindustriali». La possibilità di creare varietà di riso e grano resistenti a funghi e parassiti, riducendo la dipendenza dalle importazioni, risulterebbe infatti fondamentale per la sicurezza alimentare del Paese, una priorità evidenziata anche durante l’ultima Assemblea Nazionale del Popolo.

UGUALMENTE STRATEGICO risulta l’utilizzo di CRISPR su bovini, suini e pollame, che permetterebbe di scongiurare eventi come la peste suina africana del 2019, che compromise l’intera filiera alimentare cinese, facendo aumentare il valore delle importazioni di maiali del 150% in un solo anno. «Pechino detiene molti primati nell’applicazione di CRISPR sugli animali, mirante a garantire un approvvigionamento alimentare più sicuro e a fornire nuovi modelli per lo studio delle malattie e per il trapianto di organi» – prosegue Cohen – «la Cina è stata inoltre il primo Paese a consentire l’utilizzo di CRISPR su cellule umane per trattamenti clinici sperimentali, come nel caso di cancri molto difficili da trattare».

NEL 2017, AD ESEMPIO, l’immunologo Deng Hongkui testò con successo una nuova terapia per la leucemia su un paziente affetto da Aids utilizzando cellule modificate con CRISPR. «La Cina punta da tempo sull’innovazione» e infatti già il XIII piano quinquennale disponeva di «facilitare le vaste applicazioni della genomica».

A regolamentare la ricerca vi sono però normative spesso inadeguate e disomogenee, e questo perché le stesse autorità non hanno ancora un’idea chiara di cosa CRISPR abbia reso improvvisamente possibile e di cosa comporterebbe l’immissione in natura di organismi geneticamente modificati. Una delle questioni più controverse è l’uso dell’ingegneria genetica per il potenziamento della performance umana (genome editing for human performance enhancement), anche definito «ingegneria evolutiva» (evolutionary engineering): la tecnologia CRISPR potrebbe essere utilizzata per creare esseri umani super intelligenti, forti o resistenti, sollevando delicate questioni bioetiche dai risvolti sociali (le diseguaglianze economiche potrebbero tradursi in differenze genetiche), ma anche aprendo nuove frontiere per una competizione biotecnologica dai risvolti militari.

«LE TECNOLOGIE DUAL-USE sono alla base della military-civil fusion strategy, basata appunto su una sinergia e un continuo spillover tra settore civile e militare» – spiega Francesco Silvestri, China Director del TOChina Hub – «dopo cyberspace e outer space, anche la biotecnologia sta acquisendo uno spazio importante nelle riflessioni della dottrina militare cinese».

«I militari in Cina, Russia e Stati Uniti stanno finanziando la ricerca CRISPR» afferma Walter Isaacson, autore de The Code Breaker: Jennifer Doudna, Gene Editing, and the Future of the Human Race (2021). Nel 2012 Vladimir Putin allarmò la comunità internazionale annunciando di voler sviluppare la «zombie ray gun», un’arma a base di radiazioni elettromagnetiche mirante il sistema nervoso centrale del nemico. DIFENDERSI DA TECNOLOGIE del genere è ciò che ha spinto nel 2014 la Darpa, l’agenzia governativa del Dipartimento della Difesa degli Usa incaricata dello sviluppo di nuove tecnologie per uso militare, ad inaugurare un ufficio per le biotecnologie, e allo stesso modo le istituzioni mediche dell’Esercito di Liberazione del Popolo cinese, a interessarsi alla tecnologia CRISPR. L’ELP è attualmente coinvolto in cinque dei diciotto studi cinesi legati alle sperimentazioni CRISPR. In teoria, attraverso l’editing genetico, i soldati potrebbero arrivare a sopportare meglio il dolore, le temperature estreme e la stanchezza.

È SU QUESTE BASI che l’ex direttore dell’US National Intelligence, John Ratcliffe, lo scorso dicembre ha accusato la Cina di star conducendo esperimenti di ingegneria genetica sui propri soldati. Nel mirino anche la BGI, la più grande azienda cinese di sequenziamento genomico, nonché fornitrice globale di kit test Covid-19. Secondo le accuse, smentite dalla BGI, l’azienda starebbe trasmettendo all’Elp dati biologici dei clienti esteri al fine di facilitare l’identificazione di debolezze genetiche delle popolazioni straniere.

Nel gennaio 2020, inoltre, uno studio condotto dai fondatori della BGI e dal Key Laboratory of High Altitude Medicine dell’Elp sulle lesioni cerebrali indotte da ipossia ipobarica nelle scimmie ha instillato il dubbio che la BGI stia lavorando con l’Elp per identificare i soldati geneticamente più sensibili al mal di montagna, ricorrendo a soluzioni basate sull’editing genetico. Si tratterebbe di un progetto estremamente strategico, in quanto la Cina presenta l’highland border più lungo del mondo, il quale include il confine storicamente conteso con l’India, zona di scontri tra le truppe dei due paesi nel corso del 2020. Un documento del 2018 del Key Laboratory of High Altitude Medicine dell’Elp indica inoltre che «il mal di montagna è la ragione principale della ridotta efficacia di combattimento e dei danni alla salute dei soldati ad alta quota».

LE SPECULAZIONI sui possibili applicativi militari di CRISPR non sono però l’unico grattacapo per gli Usa. «La Cina dispone di ingenti risorse ed infrastrutture a supporto del settore che, insieme ad una regolamentazione meno restrittiva, rendono il Paese un polo di attrazione per talenti stranieri qualificati, un obiettivo emerso anche nel corso dell’ultima Assemblea Nazionale del Popolo” – afferma Silvestri – «ma Pechino sa di dover essere cauta, spingendo l’innovazione senza compromettere il suo soft power scientifico con scandali come l’affare He Jiankui, da cui infatti il governo cinese ha preso le distanze».

Nel frattempo, lo scorso febbraio un gruppo di ricercatori cinesi ha annunciato di aver rallentato, tramite l’inattivazione del gene KAT-7 con CRISPR/CAS9, il processo di invecchiamento di un gruppo di ratti da laboratorio, prolungandone il ciclo di vita di circa il 25%. Il gruppo di ricerca ha affermato che al momento il metodo è molto lontano dall’essere pronto per le sperimentazioni sull’uomo, ma che un giorno la ricerca potrebbe arrivare a risultati consistenti anche per gli esseri umani. Un risvolto interessante per Pechino, alle prese con una popolazione che invecchia e che cresce a tassi progressivamente ridotti, come rivelato la scorsa settimana dal settimo censimento (2010-2020) della popolazione cinese.

Tuttavia, a sperimentare gli usi della tecnologia CRISPR non sono solo i centri di ricerca, ma anche biohacker e i seguaci del transumanismo che nei loro spazi privati, spesso con conoscenze scientifiche approssimative e motivati da un senso di sfida e rivalsa nei confronti delle istituzioni, ne testano gli applicativi su uomini e animali, con conseguenze imprevedibili tanto sulle cavie che sull’ecosistema.