Viceministro Mario Giro i motivi di incertezza presenti oggi in Europa sembrano essere più numerosi di 60 anni fa.

Erano molti anche allora. C’era uno spirito certamente innovativo ma l’Europa si unifica e comincia il suo lungo processo di integrazione proprio perché conscia della propria fragilità.

Nel 1957 a dominare erano però lo spirito europeo e la voglia di lasciarsi alla spalle le guerre. Oggi le divisioni si ripropongono, non solo tra Est e Ovest, ma anche Nord e Sud Europa. Manca la spinta a unirsi del passato.

La spinta a unirsi dell’inizio era la spinta di una élite. Solo successivamente è diventato popolare. Ricordiamoci l’Ungheria nel ’56, la guerra fredda, l’avventura di Suez, come ha detto il presidente Mattarella. C’era più paura, oggi c’è più incertezza, non si sa come sarà il futuro. La verità è che quell’élite politica che ebbe il coraggio di iniziare il processo di integrazione era molto realista. Da una parte sapeva che l’Europa ha dentro di sé i demoni che avevano portato alla seconda guerra mondiale, demoni che andavano gestiti e tenuti sotto terra. Dall’altra che bisognava trovare un modo per resistere alla paura dello scontro bipolare. I fondatori non erano dei visionari ma degli uomini molto ragionevoli.

E il dualismo Est Ovest non si ripropone anche oggi?

Certamente, perché l’Europa dell’Est per tanto tempo è rimasta dietro la cortina di ferro e quindi le percezioni di questi Paesi sono diverse, perché la storia non va avanti allo stesso modo dovunque. Se questi Paesi non fossero entrati, tuttavia, oggi avremmo un’Europa dell’Est sotto influenza non europea ma di altro tipo, e staremmo molto peggio. Per essere chiari: la crisi europea non viene da Est, ma dai Paesi fondatori.

A proposito dei Paesi fondatori, in passato lei è stato molto critico nei confronti dell’Unione europea accusandola di non saper far rispettare a tutti le regole che si è data. Ha cambiato idea?

No, assolutamente. Da quando i Paesi fondatori hanno accettato – fin dall’entrata della Gran Bretagna nel 1973 – la possibilità di optare fuori, gli opt out, la possibilità di accettare o non accettare temporaneamente alcune decisioni, sono nati i problemi. Bisognava avere il coraggio di rendere davvero comuni tutte le politiche ma questo non è stato fatto.

La dichiarazione finale del vertice di sabato è un lungo giro di parole per dire sostanzialmente che si è fatto un passo indietro rispetto alla proposta di un’Europa a due velocità così come era uscita dal vertice a quattro di Versaille. Comunque un segnale di debolezza.

Di doppia velocità si parla da molto prima di Versaille, da prima ancora dell’ingresso dei paesi dell’Est. Non abbiamo però mai preso una decisione, lasciando alle cooperazioni rafforzate il compito di crearla di fatto. Direi che c’è già una formula di doppia velocità. Quello che adesso va fatto, probabilmente prendendo anche occasione dalla Brexit, è riformare i Trattati e creare un’Europa a doppio cerchio: una politica, composta dai paesi che hanno intenzione di andare avanti mettendo in comune le politiche, e una economica. E la gestione delle due deve essere affidata alla Commissione europea.

Ma in questo modo non si rischia di avere un’Europa à la carte, come la definisce il premier Gentiloni, in cui ognuno prende quello che più gli fa comodo?

Assolutamente no. L’Europa à la carte è quella che abbiamo avuto fino ad adesso. A seconda del governo che c’era gli inglesi accettavano o non accettavano alcune politiche. E lo stesso altri Stati. La politica degli opt out e degli opt in è l’Europa à la carte. L’errore dei Paesi fondatori non è stato aver allargato l’Unione, ma di aver accettato un allargamento debole.

E’ passato un anno dalla firma dell’accordo con la Turchia sui migranti e i rapporti tra Unione europea e Ankara non potrebbero essere peggiori. Un anno fa già si sapeva chi è il presidente Erdogan. Non è stato un errore mettere l’Europa nelle sue mani?

Diciamo che un anno e mezzo fa, quando fu pensato questo accordo, non c’era stato il tentativo di colpo di stato e l’involuzione progressiva del governo turco in una forma eccessiva rispetto a quello che avevamo previsto. Per quanto riguarda l’accordo si tratta di un’intesa temporanea e riguarda i rifugiati siriani. E’ stato voluto dai tedeschi, noi lo abbiamo accettato ma a noi interessa uno sguardo strategico sul Sud, verso la Libia. Naturalmente le relazioni europee con la Turchia oggi soffrono di incomprensioni che andranno assolutamente chiarite e superate, perché la Turchia resta un partner molto importante per la stabilità del Medio Oriente.

Sabato si annuncerà la nascita di un’Europa più forte. Sarà davvero così?

Lo spero, ma bisogna che ci chiariamo molto bene al nostro interno e avere il coraggio di rimettere mano ai Trattati