Una riunione della segreteria nazionale e del gruppo dirigente romano, convocata in fretta per valutare la «brutta pagina per la democrazia» che in quelle stesse ore si consuma in Campidoglio. Se il ’caso Marino’ ha spiazzato i vendoliani («Marino spieghi, se è in grado di farlo», ripeteva in questi giorni l’ex governatore della Puglia), le dimissioni in massa dei consiglieri dem li ha resi furibondi. Non c’è solo la rabbia verso «lo scempio del mercanteggiamento dei consiglieri», verso un Pd che «non è riuscito a mandare a casa Alemanno e invece riesce a mandare a casa Marino», si sfoga Gianluca Peciola. C’è la ’questione democratica’: «Si è voluto impedire di portare la discussione in aula. Il Pd ha sequestrato la discussione trasformando il Campidoglio in retrobottega della ditta renziana», dice Massimiliano Smeriglio. Ma soprattutto c’è il disegno generale che si legge in filigrana nel soccorso di Alfio Marchini, indispensabile per far decadere la sindacatura. «Mi domando se il Pd si renda conto che la costruzione del partito della nazione a Roma è peggio della sua versione su scala nazionale», chiede Paolo Cento. E se alle prossime elezioni si delineasse un’alleanza fra Pd e Marchini «saremmo di fronte a un’operazione di trasformismo senza precedenti, visto che due anni e mezzo fa Marchini era contro il Pd e il centrosinistra».

In Sel ormai sono convinti. Per questo, spiega Smeriglio, «siamo già al lavoro per costruire a sinistra un polo autonomo capace di offrire alla città un progetto di governo lontano dalle faide interne al Pd e opposto alla cultura trasversale che ha rappresentato l’umore nero in cui è cresciuta Mafia Capitale». Cento si spinge più avanti: «Noi faremo una proposta e ci confronteremo con tutti, Marino compreso, perché rimane un soggetto politico di questa città».

Insomma il sindaco pugnalato dai suoi, ma anche il sindaco delle troppe versioni sugli scontrini, quello che ha dimesso il vice Luigi Nieri e spinto i vendoliani fuori dalla giunta, dopo il bagno purificatore della rottura con il Pd potrebbe tornare ad essere un interlocutore per la sinistra. Un domani, al voto di primavera. La strada della lista «alternativa» al Pd del resto sembra ormai obbligata. Prima che la crisi precipitasse, alcuni ambasciatori dem hanno provato a proporre a Sel una lista civica comune. Un nuovo centrosinistra in salsa civica, depurato dai partiti o comunque dal simbolo del Pd. Magari capitanato da un nome che in quei cuori potrebbe fare breccia, quello del senatore dissenziente Walter Tocci. La proposta non era solo un gesto di fedeltà agli alleati ma una dura necessità: secondo tutti i sondaggi oggi il partito di Renzi da solo non arriverebbe neanche al ballottaggio. Ma Tocci, pure interessato al progetto, fin qui è indisponibile. La minoranza Pd chiede che sul futuro di Roma sia convocata una direzione. Ma i vendoliani sono convinti che il partito della nazione insieme ai centristi è la strada che Renzi imboccherà per il voto di primavera. E forse non solo a Roma. Anche se in serata Matteo Orfini a La7 smentisce l’ipotesi Marchini.

Eppure, dicevamo, i sondaggi spingono lì. Quelli che circolano convergono su un M5S fra il 30 e il 33%, un Pd crollato sotto quota 20, in alcuni casi al 17, Giorgia Meloni al 9%, Marino al 9, Marchini all’8. Per il Pd i centristi sarebbero un’ancora di salvataggio. E se Marchini mette come condizione per correre la marca «civica», meglio: con i tempi che corrono -e il processo Mafia Capitale – per il Pd non presentare il simbolo potrebbe essere persino una necessità.

Quegli stessi numeri parlano anche a sinistra: e dicono che se Marino restasse in campo azzopperebbe mortalmente il Pd ma non lascerebbe molto spazio a sinistra. Se lui si ricandidasse, come nei colloqui riservati dice di voler fare, da lui non si potrebbe prescindere. Ipotesi, scenari futuribili chissà quanto probabili. Ma anche per questo Cento definisce l’ormai ex sindaco «un soggetto politico di questa città». Che comunque sarebbe difficile da digerire per un pezzo della sinistra. «Per Roma è necessario un progetto alternativo al Pd», assicura Stefano Fassina, che alla camera si appresta a sedere in un nuovo gruppo parlamentare con i ’compagni’ di Sel (lo annunceranno in un’iniziativa pubblica a Roma il prossimo 7 novembre), «ma Marino è ormai un capitolo chiuso».