Nelle odissee politiche non c’è mai davvero un’Itaca, ma il bollettino dei naviganti dice a Nichi Vendola tempesta. Tempesta forte, tale da richiedere la ricerca immediata di un approdo, se non un porto almeno uno scoglio. Oggi al Palacongressi di Riccione si apre il secondo congresso di Sinistra ecologia e libertà, si intitola «la strada giusta fra crisi sociale, della politica e un campo largo, a sinistra, da ricostruire». 900 delegati in rappresentanza di 34.300 iscritti non post-ideologici ma certo «laici di sinistra», racconta una ricerca di Paola Bordandini (La spada di Vendola, Donzelli) descrivendoli come risorsa irrinunciabile per un’alleanza postberlusconiana, «senza un nemico da combattere».

Ma il postberlusconismo è iniziato? Il tempo non ne fa una dritta a Sel e apparecchia un menù al cianuro per le assise che decideranno la sorte della sinistra che «tiene aperta la partita» del centrosinistra, anima governista (fuori dal governo) di una sinistra italiana che zoppica con tutti i piedi che ha. Il Pd, l’alleato d’elezione, governa con la destra; il neosegretario Renzi ha concordato con Berlusconi una legge elettorale che «asfalta» i partitini (sbarramento al 5 per quelli in alleanza, all’8 chi sta fuori); e a chi obietta ha risposto «si arrangino», avvertimento a futura memoria. Eppure, per i sondaggi, anche quel pessimistico 2,3 per cento a cui viene oggi quotata Sel (dal 3,2 del 2013), sarebbe determinante per la vittoria. E però il pacchetto Renzi-Berlusconi con gli alleati utili non divide neanche il premio di maggioranza (oggi, con il porcellum, Sel ha 37 deputati e 7 senatori).

Ma saranno le europee di maggio a presentare il primo conto. Lì lo sbarramento è al 4. I vendoliani si dividono fra gli sbilanciati verso il Pse (Sel ha chiesto di aderire, nessuna risposta ancora è arrivata) propensi ad appoggiare, insieme al Pd, il socialdemocratico tedesco Martin Schulz (Gennaro Migliore è il capofila); e i tanti che guardano al giovane Alexis Tsipras, leader della greca Syriza, lanciato in Italia da un appello di intellettuali (sul manifesto del 17 gennaio). Su un piatto della bilancia c’è il socialdemocratico, anima critica della Spd larghintesista, che potrebbe incassare la non belligeranza di Angela Merkel. Sull’altro c’è Tsipras, dal programma antirigorista, lo stesso di Sel; ma con una lista che, per ora, non accoglie la «terra di mezzo» di conio vendoliano e indica come approdo il Gue, il gruppo della Sinistra europea. Una cena fra Vendola e Barbara Spinelli, ispiratrice della lista, non ha prodotto avvicinamenti. Sel è pronta a fare una sua lista, ma il rischio di non acciuffare il 4 per cento è reale. Vendola, pure provato dalla vicenda Ilva, ha promesso che deciderà insieme ai delegati se correre per Bruxelles: la sua presenza fa la differenza. D’altro canto per le sinistre italiane, divise ormai per tradizione e definizione, il rischio replica del disastro 2013 è dietro l’angolo.

Intanto dal Pd parte il pressing per l’ingresso di Sel che irrobustirebbe il partito nuovo di Renzi. Ha i toni spregiudicati del segretario che prima del patto con Berlusconi aveva assicurato la sua presenza domani a Riccione. Verrà davvero, ora che indossa i panni dell’angelo asfaltatore? «Decidesse lui», taglia corto Ciccio Ferrara, coordinatore di Sel, annunciando il no all’Italicum. «Gli sbarramenti per i coalizzati e non, sono alti e odiosi. Ma il punto è: Renzi permetterà di nuovo a Berlusconi di portare in parlamento i suoi maggiordomi», ragiona Massimiliano Smeriglio, vice di Nicola Zingaretti alla regione Lazio, in altri frangenti granitico coalizionista.

Ma l’offerta di abbandonarsi all’abbraccio del partitone ha anche la voce amichevole di Goffredo Bettini, teorico del «campo largo» – presente al congresso – che oggi però vira verso il bipartitismo: «Ci vuole uno schema innovativo: Renzi candidato premier con un campo unitario dei democratici, plurale, contendibile in perenne esercizio di produzione di idee, di decisioni, di lotta». E quella dell’amico di una vita di Vendola, Nicola Latorre, neorenziano di antica osservanza dalemiana: «Nichi porti ai suoi questo orizzonte strategico, a prescindere dalla legge elettorale, come approdo politico e naturale. Senza bisogno di gesti mortificanti». «È questo il momento di mettere in campo un progetto politico», replica Ferrara. «Nichi stupirà», assicura Smeriglio. Intanto da oggi inizia la battaglia degli emendamenti al documento unico, dopo i congressi territoriali combattuti a colpi di accuse di tesseramenti gonfiati, nella migliore tradizione di famiglia. A andrà in scena anche il duello del congresso della Cgil, fra la segretaria Susanna Camusso, che parlerà oggi, e quello della Fiom Maurizio Landini.

La speranza è nell’opera, diceva Vincenzo Cardarelli. Quel Cardarelli citato da Fausto Bertinotti il giorno che annunciò la fine del secondo governo Prodi (2007, lo definì «il più grande poeta morente»). Ma da ogni lato la si guardi oggi «l’opera», sembra avere una porta che si chiude.
È sempre l’ora del bilancio per una sinistra oggi frantumaglia, alle prese con l’ennesima crisi di relazione con i nuovi movimenti dell’età della crisi. L’unità ha persino smesso di essere uno slogan, perché una meta troppo lontana rischia di essere una fatamorgana, o un trucco. Bertinotti, padre politico di Vendola, dopo la rottura con Armando Cossutta (’98), dopo essere stato presidente della camera dell’Unione (2006), oggi è distante mille miglia dal compagno di un tempo. E invece l’anziano presidente che fu fondatore del Prc e poi del Pdci (che poi ha lasciato), e che ormai vive ritirato, alle ultime politiche ha confidato a un amico la sua benevolenza verso Vendola, avversario interno di un tempo. «Nichi è capace, generosissimo. Immagino la sua fatica. Ma intorno ha il deserto», riflette amaramente Ersilia Salvato, per completare il quadro dei rifondatori della prima ora, l’ultima del Pci. Domenica Vendola (e compagni e compagne) dovranno decidere la loro «strada giusta». Qualsiasi sarà, partirà in salita.