Prima ancora di essere un partito Sel è stata un laboratorio politico in grado – sia pure per una breve fase e a macchia di leopardo – di sospingere verso la partecipazione una parte delle migliori energie del Paese, di offrire spazi, forum di idee, luoghi di socializzazione e una speranza di rigenerazione della politica.

È stata un soggetto politico capace di generare entusiasmo e speranza non solo attorno al suo leader (come troppo spesso si è detto semplificando) ma intorno ad esperienze come le Fabbriche, l’onda cagliaritana di Ora Tocca a Noi, i movimenti arancioni che raccoglievano l’eredità dei referendum 2011 e la ricomponevano nella dimensione territoriale. Uno spazio politico prima che un partito. Perché i partiti possono perdere il proprio appeal e la propria spinta propulsiva – come succede oggi a Sel – ma le buone pratiche e lo spazio costruito restano e vanno compresi.

A Porto Torres un surfista americano, che vive da appena quattro anni nell’Isola (un perfetto sconosciuto per le cronache), straccia letteralmente il candidato del centrosinistra al ballottaggio: in questo caso non un impresentabile ma una persona seria, onesta e competente, parte tuttavia di quel déjà vu che gli elettori non vogliono proprio più. Perché giustamente stanchi di promesse, sfiancati da una crisi che ha diffuso povertà, disoccupazione, paure e risentimento.

Ed allora uno dei nuclei centrali che spiega la crisi delle formazioni politiche tradizionali è precisamente l’assoluta incapacità di promuovere il cambiamento, svecchiare pratiche e personale politico, offrire una rappresentazione compiuta di una speranza possibile e di una Italia migliore. Che pure esiste: nella cosiddetta società civile ma anche nei meno conosciuti territori della politica, anonimi per il sistema dei media ma popolati di giovani generazioni che affermano sindaci e consiglieri, regionali e locali, a suon di preferenze.

La sinistra deve superare innanzitutto psicologicamente (e poi organizzativamente) l’inerzia, l’immobilismo, il politicismo, la paura di osare. L’esperienza di Sel nella sua alba è stata questo: freschezza, dinamismo, agilità, innovazione e coraggio, narrazione di una Italia che avremmo voluto. E quando la paura (di perdere, innanzitutto) ha preso il sopravvento allora è iniziato il tramonto, il ripiegamento iper-tattico, il nascondino davanti alle sfide, il racconto (così fan tutti) di ciò che non va. Penso anche che il tema del rapporto (alleanza-rottura) con il Pd sia assolutamente noioso e mal collocato nel dibattito, che trasudi politicismo e che rischi di diventare strumentale.

La necessità ora è quella di una nuova casa per i progressisti, gli ambientalisti, i democratici, che abbia idee-forza (reddito, lavoro, ecologia, diritti civili, socialità), che sappia contendere – in maniera credibile – al renzismo la visione di futuro, che ricostruisca trame di contemporaneità e relazioni sociali dense, che valorizzi e metta in rete le potenzialità e le troppe solitudini. Che rimescoli (per davvero) identità e provenienze.

Serve innovazione, partecipazione e cura delle relazioni. Serve capacità di ascolto e valorizzazione delle buone pratiche. Serve un gruppo dirigente che emerga in maniera naturale e consensuale nella dimensione partecipativa. E (mi si consenta di dirlo) abbiamo la necessità di ritrovare il sorriso, di guardare alla contesa politica con gli occhi ed il coraggio e la curiosità dei bambini.

L’Italicum, così come la fase politica e sociale che attraversiamo, ci costringe tutte e tutti ad abbandonare le certezze, ad essere più ambiziosi, ad offrire non un terreno identitario o resistenziale, ma una prospettiva nuova di governo al Paese. Nelle stanze chiuse non potrà nascere alcunché di duraturo e positivo, nello spazio pubblico la sfida è aperta.
* deputato Sel