Saranno pure ai ferri corti, il Movimento 5 Stelle e Sel, ma nei fatti lavorano insieme. Mentre alla Camera, ieri mattina, andava in scena lo scontro verbale tra i primi e la Presidente Laura Boldrini, a pochissimi metri di distanza, nello stesso edificio, si ritrovava l’intergruppo parlamentare costituitosi sul tema dell’«acqua bene comune». Un gruppo liquido come l’argomento trattato, composto da oltre 200 parlamentari: tutti i 5 Stelle e quelli di Sinistra ecologia e libertà, alcuni esponenti del Pd, un deputato di Scelta Civica e due del Gruppo misto.
Sono le prove di una nuova alleanza, le larghe intese alternative, come qualcuno ironizza? È presto per dirlo, e probabilmente troppo poco. Fatto sta che a Montecitorio è accaduto quanto segue: il 15 marzo scorso, appena insediato il Parlamento, la pattuglia di neodeputati di Sel ha presentato di presentare un progetto di legge sulla ripubblicizzazione delle risorse idriche in Italia. Primo firmatario: Nichi Vendola. Non hanno dovuto faticare molto, i deputati di Sel: il provvedimento era già scritto, dal 2007, e controfirmato da 400 mila cittadini. Si tratta della legge di iniziativa popolare per promuovere la quale erano nati decine di comitati in tutta Italia.
È attorno a questa legge, sottoposta a una necessaria «manutenzione», che si è coagulata questo curioso schieramento trasversale, che ha un triplice obiettivo: sottoscrivere la legge, ratificare nella Costituzione la risoluzione Onu del luglio 2010 che dichiara «il diritto all’acqua potabile e sicura ed ai servizi igienici un diritto umano essenziale al pieno godimento della vita e di tutti i diritti umani», impegnarsi infine sulla questione delle tariffe, togliendo la competenza all’Autorità per l’Energia elettrica e il gas per affidarla al ministero dell’Ambiente. Motivo, quest’ultimo, legato al fatto che il Metodo tariffario transitorio predisposto dall’Autorità non tiene conto del quesito referendario che vietava la cosiddetta remunerazione del capitale e che in soldoni avrebbe dovuto ridurre le bollette del 7%.
Federica Daga, deputata del M5S, annuncia una serie di audizioni in Commissione Ambiente e l’obiettivo di limitare le gestioni cosiddette in house e attraverso società per azioni, com’è per esempio la Publiacqua Toscana. Serena Pellegrino di Sel spiega come ormai «lo slogan “ce lo chiede l’Europa” non funziona più, perché gli esempi di ripubblicizzazione aumentano in tutto il continente, e alla città di Parigi si sta aggiungendo un’altra grande capitale come Berlino». Di questo dovrebbe convincersi anche il Partito Democratico, che a Roma governa con Ignazio Marino e si trova a fare i conti con una multinazionale indigena come Acea. «Ci sono molte situazioni problematiche nei territori, dovremo impegnarci per risolverle, anche trovando soluzioni diverse luogo per luogo», ammette Raffaella Mariani del Pd, che sa cosa si agita nella pancia del primo partito italiano anche sul tema dell’acqua.
La verità novità dell’intergruppo è però l’apertura ai movimenti referendari. Corrado Oddi teme l’ondata di privatizzazioni in arrivo con il decreto autunnale del governo Letta sulla stabilità: «Gli annunci fatti non ci lasciano tranquilli», dice. Loro si sono attrezzati a dare battaglia, sul piano italiano con la proposta di legge e su quello europeo con l’Iniziativa dei cittadini europei per la quale, in tutta Europa, sono state raccolte un milione e 800 mila firme.