Sel chiude i battenti. Entro fine anno la creatura politica nata nel 2009 da una scissione del Prc guidata da Nichi Vendola si scioglierà ufficialmente per confluire in Sinistra italiana. La morte del partito-movimento è annunciata, ma alle esequie la famiglia potrebbe presentarsi meno unita di quanto ci si augura in un’occasione del genere. Se n’è discusso in due tappe ieri e l’altro ieri a Montecitorio. L’appuntamento era riservato ai deputati e ai senatori della vecchia Sel, ed è stato concluso da Nichi Vendola, tutt’ora presidente del partito morituro benché da tempo assente dalla scena per note ragioni familiari (ha avuto un bambino e si è preso un periodo sabbatico dalla militanza).

Oggetto del confronto, che a sinistra finisce sempre per essere un eufemismo, è il modo con cui sarà sciolta Sel, «superata» o «liquidata» a seconda di chi parla. La liturgia dovrebbe essere breve, c’è chi sostiene anche troppo sbrigativa: una riunione di presidenza il 4 novembre, poi un’assemblea nazionale il 6 con la proposta da parte di Vendola di un documento di scioglimento che a stretto giro sarà sottoposto alla consultazione degli ex iscritti nelle assemblee provinciali.

Ma la road map ha raccolto dissensi prima in segreteria e poi anche fra i parlamentari. È pacifico lo scioglimento di un partito di fatto già inesistente (un po’ ovunque, ma non dappertutto, i militanti sono passati sotto le nuove insegne di Sinistra italiana). Non è pacifica invece la modalità del travaso o della «trasformazione» in Sinistra italiana, dove l’eredità di Sel – quella ideale ma anche quella materiale – dovrebbe riversarsi, in teoria, in un contenitore più ampio. Ma c’è chi si preoccupa delle defezioni di peso: dall’ex sindaco Pisapia a quasi tutto il partito sardo, Massimo Zedda in testa, fino alla presidente della camera Laura Boldrini, fredda forse non solo per motivi istituzionali. Uomini e donne della nouvelle vague vendoliana, quella dei tempi del movimento arancione e della coalizione Italia bene comune. Chi resta, chi va e perché: temi delicati da affrontare – altra critica avanzata – nel pieno della «battaglia della vita» e cioè la campagna referendaria il cui esito cambierà comunque tutto il quadro politico italiano. Differenze, «articolazioni», le chiama Nicola Fratoianni, coordinatore di Sel e front man di Si, rimandando tutto all’assemblea, e poi al congresso fondazione del nuovo soggetto, a febbraio.

Perché il vero busillis resta questo: se il nuovo partito debba essere uno dei soggetti della sinistra, magari per stringere poi un cartello elettorale con i compagni di questa strada (Prc, Possibile, Altra europa con Tsipras); o se debba invece tentare il «big bang», vecchio cavallo di battaglia vendoliano, con i militanti e gli elettori in fuga dal renzismo ma fin qui non attratti dalla nuova bandiera. Le due ipotesi vengono vissute in alternativa; non è detto che lo siano. Molto dipenderà dall’esito referendario e da quello che succede nell’adiacente campo del Pd.

Dove intanto qualcosa stavolta pare si muova davvero. Massimo D’Alema ormai parla esplicitamente di «nuovo soggetto di sinistra» e sarà ospite del battesimo a Roma dell’associazione Alternative, che nascerà il secondo week end di novembre dall’interno di Sel per «uscire fuori dal recinto». Il governatore Enrico Rossi, che vota sì «turandosi il naso», cerca sponde a sinistra oltre la Toscana, e infatti oggi a Roma presenterà il suo libro Rivoluzione socialista con Massimiliano Smeriglio (Sel-Si). E poi c’è Pisapia che tenta di «ricostruire un centro-sinistra, o magari una sinistra-centro». Con la benedizione del Pd, renziano e non, per una nuova formazione di sinistra ’alleabile’.