Il voto alle primarie del Pd è stato una richiesta di cambiamento, di rigenerazione dei luoghi e dei modi di far politica. Apre una sfida che si gioca sul terreno dell’innovazione e che impone alla sinistra di non ritrarsi, di giocare apertamente le sue carte. Perché l’innovazione generazionale non è garanzia automatica di rinnovamento. È fondamentale, ma da sola non basta. La sinistra deve fare i conti con un modello di società cambiato, per ricostruirlo con le sue parole chiave.
Facendo del reddito minimo non un orpello del programma ma il cuore di un modello di welfare universale che investe sulle persone; dei diritti non la battaglia minoritaria di un partitino di sinistra, ma la carta di identità non negoziabile di uno stato civile; delle giovani generazioni non un dato statistico da citare o una litania su cui piangersi addosso, ma l’investimento per uscire dalla crisi e valorizzare i protagonisti invisibili (precari, partite Iva, lavoratori autonomi) del nostro tempo; di lavoro e ambiente il crocevia di un modello di sviluppo che modernizzi il Paese in modo sostenibile. Una proposta politica che faccia i conti con anni di travaglismo, dove si è rincorso il conflitto giudiziario piuttosto che quello sociale.

Su questo va sfidato il Pd: sulle grandi questioni che possono risolvere i problemi delle persone e che sono il cuore della sinistra. Per farlo serve un processo di rigenerazione che coinvolga Sel. Senza, il partito che oggi rappresenta la sinistra italiana rischia di rimanere un piccolo gruppo di dirigenti che, a prescindere dalla prospettiva, difficilmente sarà in grado di condizionare il governo, ridare valore alla sinistra ricostruire un centrosinistra degno di essere tale. Perché pure Sel oggi ricalca la forma di un partito della crisi, spesso in balia di micronotabili, incapace di coinvolgere gli esterni e persino i suoi stessi iscritti.
Per questo occorre aprire e innovare. Puntando su strumenti, come la “democrazia deliberante”, che permettano il protagonismo di chi i partiti li abita e di chi è interessato a far parte di un processo inclusivo. Facendo decidere ai singoli non solo candidati o dirigenti, ma le scelte politiche fondamentali, allargando la partecipazione alle associazioni, ai movimenti, ai comitati di quartiere. Trovando meccanismi di selezione dei gruppi dirigenti, raccogliendo la sfida delle primarie per eleggere i ruoli apicali nazionali e territoriali. Coinvolgendo in modo virtuoso i tanti amministratori che svolgono un ruolo prezioso, ma spesso isolato, sui territori. Costruendo un partito che sia “luogo di tanti luoghi”.

Cominciamo a innovare dal prossimo congresso. Facendone il primo momento di un percorso partecipato che porti alle europee. Non c’è altra strada al punto in cui siamo. Altrimenti finiremo per definire un organigramma con mortiferi accordi di “caminetto” e niente più. Sarebbe la morte, non la rinascita della sinistra.
Oggi più che mai abbiamo il dovere di rilanciare Sel per farne l’epicentro di un processo largo che dia modo ai tanti che si sentono esclusi di parteciparvi. Liberiamo energie, sperimentiamo modi innovativi, lanciamo una sfida costituente. Ne abbiamo bisogno.

Io non mi arrendo al fatto che sia Renzi a rappresentare la sinistra. Sel era nata per ricostruire la sinistra, il campo largo del centrosinistra. Questa sfida va rilanciata e con forza. Questo chiedo a Vendola e al mio partito. Di aprire una stagione nuova.