La notizia, del resto ampiamente annunciata, è arrivata giusto alla fine della sfortunata partita Italia-Uruguay. La presidenza di turno di Montecitorio annuncia il passaggio al gruppo misto di altri tre deputati di Sel. Si tratta del veneto Alessandro Zan, del laziale Nazareno Pilozzi e del piemontese Fabio Lavagno. Con loro salgono a nove gli abbandoni: Migliore, che per un disguido burocratico ieri risultava ancora iscritto a Sel, Fava, Di Salvo e Piazzoni (il loro passaggio viene stato annunciato in aula all’apertura dei lavori); Aiello e Ragosta, che però già siedono nel Pd. Più gli ultimi tre.

Ieri pomeriggio riunione dei fuoriusciti. Un gruppo autonomo con i socialisti non è ancora a portata di numeri. Un altro scaglione partirà dopo la direzione di oggi (tecnicamente si chiama presidenza), dove andrà in scena il confronto fra i fuori-linea rimasti e il coordinamento, che rimetterà il mandato nella convinzione di essere ’rifiduciato’. Vendola in testa, che ha annunciato al manifesto di voler «separare la discussione fra presidenza e organismi. Nessuno pensi che mi copro con il gruppo dirigente».

Tentata dall’addio è la toscana Nardi e il calabrese Lacquaniti. Resteranno invece il giovane nuorese Michele Piras, l’abruzzese Giuseppe Melilla e il ligure Stefano Quaranta. Decisive le assemblee territoriali di questi giorni. «Resto, in attesa che l’”anguilla” si fermi», spiega al manifesto Piras, citando l’ultima metafora coniata da Vendola per il suo partito. «In Sardegna la scommessa su Sel è stata forte e non ci vogliamo rassegnare al fatto che si sia già bruciato tutto. Ma non ci sto: il chiarimento sulla linea politica va fatto subito. Bisogna ridarsi l’obiettivo del centrosinistra, ricreare le condizioni che hanno portato in tutta Italia l’alleanza a governare le città. Se anche Landini ha fatto un’apertura di credito a Renzi, perché noi non dovremmo provarci?». Promesse di battaglia ne circolano tante. Dai liguri oggi potrebbe arrivare la richiesta di un congresso straordinario. Altri lavorano all’idea di un referendum.

La maggioranza intanto pensa a una mossa per rimotivare gli iscritti, non moltissimi fin qui – ma il tesseramento è in corso e solo a fine anno si potrà fare un bilancio – e per ricompattare il vietnam parlamentare. Ma la linea resta quella: all’opposizione ma sfidando «positivamente Renzi», «una terza via che non è deriva minoritaria ma pungolo da sinistra al governo». Lo ha ripetuto ieri sera Vendola alla riunione di senatori e deputati: ha rilanciato il dialogo con le sinistre Pd – di ieri un nuovo colloquio alla camera con Cuperlo – e con i giovani della lista Tsipras. E ha invitato gli indecisi a restare nella «terra di mezzo». Duro solo sulle responsabilità di Gennaro Migliore.

Al suo posto, a Montecitorio, si fa strada l’ipotesi di affidare la presidenza del gruppo – attribuita pro tempore a Fratoianni – a Arturo Scotto, campano ’dialogante’. «Ma non cacciamoci nelle solite mediazioni che tengono tutto e non chiariscono niente. Serve un nome che incarni una linea chiara, con la quale misurarsi», chiede Piras. Proprio Scotto ieri in aula ha dichiarato il no di Sel alla mozione di appoggio al discorso di Renzi sul semestre europeo: «Per Sel sono stati giorni difficili. Abbiamo subito una separazione dolorosa ma siamo in campo e non ci rassegniamo all’idea di una sinistra divisa, rissosa e marginale».

A Vendola il programma europeo del premier proprio non è piaciuto: «Abbiamo ascoltato con il massimo rispetto le parole di Renzi, ma il suo discorso ha avuto come di consueto un andamento prevalentemente propagandistico», «un carosello di parole». «Renzi dice che vuole sfondare il muro delle politiche di austerity, ma dalla Germania il ministro delle Finanze e il capo della Bundesbank dicono che non c’è nessuna possibilità. Nel discorso di Renzi non c’è stato terreno di vera lotta politica ma piuttosto un rinvio».