Ci ha lasciato giovedì Sekou “Maouka” Diabate, figura molto amata sul confine-cerniera che ha unito la comunità africana romana al resto della città, verrebbe da dire, tanto era innata la sua capacità di costruire relazioni, connessioni, sinapsi culturali, perché come amava ripetere «una mano, da sola, non può applaudire». Era ricoverato per una grave malattia al Policlinico Umberto I, dove l’ha raggiunto l’infezione da Covid-19 che gli è stata fatale. Aveva 68 anni.

Cittadino innamorato (e scarsamente ricambiato) della Costa d’Avorio, romano e romanista d’adozione, Sekou nella sua vita ha dribblato le convenzioni come certi attaccanti che era solito seguire con occhio clinico in giro per il mondo: studi teologici a al Azhar in Egitto, primo approdo in Italia nei ruggenti ’70, è stato domatore di orsi (bianchi), dj, conduttore radiofonico, maestro di cerimonie e da ultimo mediatore culturale chiamato a raccogliere, tradurre, interpretare le storie estreme portate dai richiedenti asilo, che poi custodiva con un riserbo inaccessibile ai suoi amici giornalisti.

 

Sekou Diabate a Radio Città Futura durante Afri-Kan

 

Il talento della mediazione culturale ce l’aveva, tra gli altri, nel dna. In equilibrio talvolta precario, quindi dinamico, tra un Islam che definire solo «tollerante» sarebbe un insulto e la vertigine sensuale della migliore musica africana proposta in chiave integrale (anima, corpo e politica) nel suo programma Afri-Kan, seguitissimo su Radio Città Futura; tra le mattinate interculturali nelle scuole (citate anche nel commosso ricordo dell’Unhcr Italia che trovate qui) e le notti passate dietro alla consolle (di Afrodisia, per esempio). Discendente di una famiglia di griot, ha interpretato tra noi e in modo per molti versi inedito il ruolo che la tradizione gli assegnava. E i griot più famosi, da Baba Cissoko a Toumani Diabate (che gli dedicò una fantastica versione di Toubaka) non hanno potuto fare a meno di cantare le sue gesta.

Sekou, per molti un insostituibile e sempre disponibile grand frère, ha attraversato anche la vita di alcuni di noi qui al manifesto, dove l’umorismo, l’empatia, la curiosità di cui era capace hanno sempre trovato asilo. La sua socialità straripante ha deciso forse che non valeva la pena continuare a vivere nel distanziamento. Ma chi gli ha voluto bene un giorno di questi si ritroverà, per dargli l’abbraccio che merita.