In tempi di crisi bisogna certo fare di tutto per creare lavoro, ma il contratto siglato ieri da Slc Cgil, Fistel Cisl e Uilcom Uil con Asstel e Assocontact appare sottoscritto quasi sotto un ricatto, quello delle delocalizzazioni, che ormai affligge i call center. E questo nonostante i committenti non siano affatto dei «poveracci»: tra loro ci sono galline dalle uova d’oro come Telecom, Vodafone, o società dell’energia, anch’esse in attivo. Il contratto riguarda 40 mila cocoprò in outbound, quelli che fanno le chiamate in uscita, oggetto di un «tira e molla» sui diritti già da anni, almeno da quando (governo Prodi) era ministro Cesare Damiano, che già legiferò su di loro.
Il punto positivo è il riconoscimento che al collaboratore va riservata almeno la stessa retribuzione oraria del dipendente: anche se la parificazione viene spalmata da qui a cinque anni (dal 60% di un secondo livello delle tlc nell’ottobre 2013 fino al 100% nel gennaio 2018).

Il principio della paga «da contratto» è sacrosanto, anche se va ricordato che siccome i lavoratori sono destinati a rimanere a progetto (il contratto è stato siglato proprio per confermare questo tipo di rapporto, non per superarlo verso una stabilizzazione), forse i sindacati dovrebbero puntare piuttosto a ottenere che il lavoro precario costi almeno un euro in più di quello dipendente, se davvero si vogliono eliminare gli abusi. E invece, ahimé, i cocoprò dell’accordo non avranno tfr, tredicesima, ferie pagate.

Ovviamente la legge permette tutto questo: l’«outbound» è destinato al progetto fin dai tempi di Damiano, e le ultime circolari sotto il governo Monti (in particolare la 24 del 2012) ha ampliato l’ambito del rapporto a progetto dalle attività di vendita a tutti i servizi, quindi anche (come esplicitato in questo accordo) alle ricerche di mercato e al recupero crediti. Per le imprese si apre una prateria, e si prevede anzi che chi oggi applica il contratto subordinato del commercio per le ricerche di mercato, o il bancario per il recupero crediti, adesso emigri felicemente verso le tlc, più convenienti.

E infine la nota veramente dolente: i lavoratori hanno diritto a essere inseriti in un bacino di prelazione per i nuovi contratti cocoprò (ed eventuali subordinati), ma dovranno firmare una conciliazione sul pregresso. In cambio di così poco? Come mai la Cgil, che di solito non lascia soli i lavoratori e spinge a non firmare conciliazioni se non a fronte di tempi indeterminati, adesso firma per questa «sanatoria» infinita, peraltro autocertificata dal lavoratore? Se ci saranno abusi del progetto, in questo modo, si spinge l’operatore a rinunciare a far causa.