La tregua è arrivata nel pomeriggio, dopo una notte di terrore e veglia a Gaza. I peggiori bombardamenti dal 2014, dicono i palestinesi, dall’offensiva Margine Protettivo che insanguinò la Striscia per due mesi. All’alba di ieri altri uccisi, dopo i 10 morti tra domenica e lunedì: sei le vittime, tutte di età compresa tra 20 e 27 anni, Muhammad Zacharia al-Tatri, Muhammad Zahdi Awda, Mousa Iyad Ali Abed al-Aal, Hamed Muhammad al-Nahal, Khaled Riad Ahmad Sultan e Musaab Hawas.

Nella notte sono stati almeno sette i palazzi distrutti dai caccia israeliani, le abitazioni delle famiglie Aidi e al-Yazji a Gaza City (sede anche di un asilo nido, uffici e una scuola di lingue) e delle famiglie Breim e Dheir tra Khan Younis e Rafah, la sede della tv al-Aqsa, voce di Hamas, l’hotel Al Amal (sede dei servizi interni) e il Rahma Building. Oltre 200 le famiglie sfollate, tanti i negozi vicini ai palazzi colpiti seriamente danneggiati. E ai pescatori è stato vietato di prendere il mare dalla marina israeliana, denuncia il sindacato.

Insieme alle bombe sono proseguiti i lanci di razzi da parte del movimento islamico. Con una vittima, un palestinese del villaggio di Halhul ad Hebron, in Cisgiordania: Mahmoud Abu Asbah, 48 anni, è morto mentre si trovava in un edificio pubblico ad Ashkelon. Lavorava lì come muratore.

Poi, ieri pomeriggio, il cessate il fuoco. Anticipato dalla stampa palestinese, è stato poi confermato da Hamas: stop al lancio di missili se anche Israele farà altrettanto. Da quel momento è scesa la calma sulla Striscia, seppure le sette ore di riunione del gabinetto israeliano si fossero chiuse con minacce di ulteriori operazioni. Funzionari anonimi israeliani hanno dato per accettata la tregua.

«Gli sforzi egiziani hanno ottenuto la tregua tra la resistenza e il nemico sionista – hanno dichiarato i gruppi palestinesi – La resistenza la rispetterà fino a quando il nemico sionista la rispetterà». Poco prima il leader di Hamas, Ismail Haniya, aveva parlato della possibilità di tornare al dialogo già in corso per un cessate il fuoco di lungo periodo.

La tregua è arrivata dopo ore di dichiarazioni infuocate. Mentre l’esercito israeliano inviava rinforzi lungo le linee di demarcazione con Gaza (fanteria, riservisti, carri armati e batterie di Iron Dome, il sistema di intercettamento dei missili), l’aviazione ha parlato di «ampia offensiva contro Hamas e le altre organizzazioni della Striscia»: «Stavolta la nostra offensiva sarà drasticamente diversa da quelle del passato, sia in termini numerici che di qualità degli obiettivi. Parliamo di target che hanno un significato importante per il nemico».

Come la tv al-Aqsa che dopo la distruzione della sede, la quarta nella sua storia, ha subito ripreso a lavorare dall’edificio di Kufiyya Tv, legata a Fatah. E poi i numeri: in una sola notte l’aviazione israeliana ha colpito oltre 150 obiettivi considerati connessi ad Hamas e alla Jihad Islamica.

Da parte palestinese a parlare prima della tregua era stato Hamas: «Al-Majdal occupata (il nome palestinese della città divenuta dopo il 1948 l’israeliana Ashkelon, ndr) è da ora nel nostro mirino in risposta ai bombardamenti contro i civili a Gaza. Isdud (Ashod) e Beer el-Sabe (Beersheba) saranno i prossimi target se il nemico continuerà a colpire edifici civili», ha detto Abu Ubaidah, portavoce del movimento.

La diplomazia di Onu ed Egitto si è messa subito in moto per impedire un’escalation senza ritorno che decreterebbe il collasso definituvo della Striscia, già duramente provata da 12 anni di assedio totale e dalla mancata ricostruzione. A Gaza la paura è enorme: ieri scuole e uffici pubblici sono rimasti chiusi, la gente ha trascorso la mattina a camminare sopra vetri rotti e macerie e ad ispezionare gli edifici distrutti, cercando di recuperare documenti e oggetti personali.

Resteranno qui, non hanno un posto dove andare soprattutto quando le bombe cadono in mezzo alle zone residenziali. Restano e sperano che il cessate il fuoco regga. A fare da ostacolo sono le mire del governo israeliano che ha avviato l’escalation in pieni negoziati per la tregua mandando domenica soldati camuffati da palestinesi a rapire un comandante di Hamas.

Il tutto a pochi giorni dal via libera alle donazioni del Qatar, volte ad alleviare le sofferenze della popolazione sotto forma di stipendi – da mesi quelli dei dipendenti pubblici non vengono versati – e di carburante, talmente scarso da anni da garantire solo 2-3 ore di elettricità ogni giorno.

Il bastone e la carota: Netanyahu è stato criticato dall’opinione pubblica per le “concessioni” fatte alla Striscia e per quella che è stata definita una reazione blanda alla Marcia del Ritorno, sebbene si contino 220 palestinesi uccisi dai tiratori scelti israeliani. E ieri è iniziata la sfilata delle opposizioni, con il partito Meretz che visitava le città israeliane al confine con Gaza e il “moderato” Lapid, futuro candidato premier, che prometteva il ritorno agli omicidi mirati a partire da Haniya.

E in serata in piazza a Sderot sono scesi centinaia di israeliani: hanno dato fuoco a copertoni e bloccato le strade al grido di “Bibi, go home”, Bibi vattene. Non vogliono nessuna tregua, ma che i bombardamenti continuino.