Il giro di vite era nell’aria da settimane, ma da ieri è ufficiale. Sei Paesi dell’area Schengen hanno annunciato di voler prolungare i controlli ai propri confini nonostante abbiano superato il limite massimo di sei mesi (rinnovabile per tre volte) previsto dall’articolo 29 del Codice delle frontiere.

Germania, Francia, Austria, Danimarca e Svezia, membri dell’Ue, più la Norvegia, avevano «chiuso» i propri confini due anni fa sotto la pressione dell’emergenza migranti. I controlli sarebbero dovuti scadere definitivamente il prossimo 11 novembre, ma al vertice dei ministri degli Interni dei 28 che si è tenuto ieri a Lussemburgo (assente l’italiano Marco Minniti) tutti e sei i Paesi hanno invece annunciato una proroga di altri sei mesi, con l’accordo silente delle istituzioni europee. Non potendo più giustificare la misura con i flussi di migranti in arrivo dal sud Europa, come accadde nel 2015, questa volta la scelta è stata motivata con i rischi derivanti da possibili attacchi terroristici. «Un ritorno completo a una zona Schengen senza controlli alle frontiere interne è possibile solo se lo sviluppo della situazione generale lo consente», ha detto il ministro degli Interni tedesco Thomas de Maiziere per il quale la decisione sarebbe dovuta alle falle presenti nelle frontiere esterne dell’Unione europea ma anche alla migrazione illegale nello spazio comunitario.

La volontà di prolungare i controlli alle frontiere è un ulteriore limite alla libertà di circolazione, un tempo uno dei principi più importanti dell’Unione europea che a questo punto, però, sembra difficile che possa essere completamente ripristinato in tempi brevi. Per ora i vertici europei preferiscono fare buon viso a cattivo gioco: «Da quello che ho capito queste notifiche sono state effettuate sotto la pressione di una scadenza», ha detto il commissario agli Affari interni e all’Immigrazione Dimitri Avramopoulos. «Valuteremo il contenuto e ne discuteremo con gli Stati membri». Per il commissario, comunque, il prolungamento non dovrebbe incontrare ostacoli, visto che è stato invocato facendo appello a una delle eccezioni previste dal Codice come le possibili minacce alla sicurezza. «Il nostro paese è stato bersaglio di un nuovo attacco con la morte di due giovani donne a Marsiglia. la Francia è sotto shock», ha spiegato il ministro degli interni di parigi, Gerard Collomb, mentre per il collega danese Inger Stojberg «il gran numero di migranti irregolari e richiedenti asilo rifiutati è una vera minaccia per la sicurezza».

Al di là delle iniziative prese dai singoli paesi, una riforma del Codice Schengen è già da tempo allo studio della Commissione europea che punta ad aggiornare il testo con quelli che oggi sono ritenuti i nuovi rischi per gli Stati membri, primi fra tutti proprio quelli derivanti dalla minaccia terroristica. Una riforma chiesta l’estate scorsa anche dalla cancelliera tedesca Angela Merkel dopo gli attacchi subiti da diversi Paesi europei.

Sia il premier italiano Paolo Gentiloni che quello greco Alexis Tsipras, però, in passato avevano chiesto di mettere mano al Codice Schengen solo dopo aver varato un nuovo regolamento di Dublino, in modo da aiutare i due paesi che più di altri hanno sopportato il peso dell’emergenza migranti. A quanto pare, però, le priorità dell’Europa sono altre.