Domani l’Italia la Scozia all’Olimpico di Roma nel terzo turno del Sei Nazioni di rugby. E’ la partita che può dare un senso all’intera stagione perché è l’unica delle cinque sfide che gli azzurri possono ragionevolmente sperare di vincere, interrompendo una serie di 24 sconfitte consecutive nel torneo. L’ultima vittoria risale infatti al 28 febbraio 2015, quando Parisse e compagni vinsero a Edimburgo per 22-19, mentre per l’ultimo successo in casa bisogna andare al 16 marzo 2013 e al 22-15 rifilato all’Irlanda. Come molte altre volte, a essere in palio è il Cucchiaio di legno, il trofeo virtuale (e beffardo) assegnato alla squadra che conclude la manifestazione all’ultimo posto in classifica. Obiettivo non semplice che nemmeno una vittoria sugli scozzesi garantirebbe essendoci ancora due turni da giocare.

Due settimane fa l’Italia è uscita sconfitta 35-22 dal match con la Francia a Parigi ma ha mandato qualche segnale confortante rispetto al 42-0 con il Galles. Oltre allo scarto nel punteggio e alle tre mete realizzate, si segnalano la buona tenuta del pacchetto di mischia e qualche miglioramento nella conquista e nell’avanzamento. Anche per questo Franco Smith ha deciso di confermare il quindici schierato allo Stade de France, con la sola eccezione di Alessandro Zanni in campo fin dal primo minuto. La panchina azzurra presenta ancora una volta sei avanti e soltanto due trequarti, presupponendo la necessità di dover reggere senza cedimenti un impegno fisico nei punti di incontro per tutti e ottanta i minuti di gioco. Jayden Hayward (migliore qualità nel gioco al piede) è confermato all’estrema, con Matteo Minozzi schierato all’ala.

Canna, il second five eighth

Carlo Canna sarà ancora una volta schierato al centro. In questa posizione il mediano di apertura delle Zebre è stato convincente contro i gallesi e qualcosa di più contro la Francia. E’ una precisa scelta tattica che fa i conti con l’evoluzione del rugby moderno: contro le cosiddette rush defense che vedono la prima linea difensiva risalire repentinamente il campo e togliere spazio al portatore di palla, soffocandone le opzioni di gioco, è sempre più importante poter contare su un secondo ricevitore, posizionato più indietro e in grado di smistare la palla perché dotato di buona visione.

Questo genere di opzione, imperniata sui giocatori con il numero 10 e il numero 12, è sempre più praticata dalle grandi squadre. E’ il caso dell’Inghilterra con la coppia Ford-Farrell, per anni è stata la scelta del rugby neozelandese, derivazione di un sistema che affidava la regia del gioco ai first e second five eight: due registi che distribuiscono il gioco. Non è un caso se ancora oggi in Nuova Zelanda il mediano di mischia è chiamato halfback anziché scrumhalf e il mediano di apertura first five eighth, mentre il primo centro è second five eighth.

Il termine è quasi intraducibile: cosa vuol dire “ottavo dei cinque”? Per capire qualcosa tocca fare un passo indietro, all’inizio del Novecento, e a James Duncan, detto Jimmy, capitano e poi allenatore di una nazionale neozelandese che muoveva i primi passi e non era ancora nota come All Blacks. Duncan nel 1905 guidò il primo tour internazionale, quello dell’unica sconfitta contro il Galles e della “meta non meta” di Bob Deans (lui, giunto all’ultimo respiro sul letto di morte, ribadì che “era meta”). Jimmy Duncan era poco amato dai suoi giocatori ma era un vero innovatore. Al tempo lo schieramento dei reparti in campo non era quello che conosciamo oggi: si giocava con nove avanti e sei trequarti. Alle spalle delle terze linee, allora chiamati loose forwards, agivano due mediani (halfback) dai compiti interscambiabili, più indietro tre giocatori (trequarti) e per ultimo il fullback, l’estremo. Era ovviamente un rugby molto meno strutturato di quello odierno. Duncan decise di staccare uno degli avanti e schierarlo come trequarti aggiunto, tra la linea mediana e quella dei trequarti, con il compito sia di attaccare la linea difensiva avversaria che di muovere palla verso gli altri trequarti. Quel ruolo specifico fu chiamato second five eighth, distinguendolo dal first five eighth proprio di quello che sarebbe divenuto a breve il mediano di apertura. I “secondi cinque” andavano dal 15 all’11, i “primi cinque” dal 6 al 10, ma cosa c’entri l’”ottavo” rimane difficile da spiegare: l’ennesima stranezza del rugby.

Restava inteso, e così è stato per un bel po’ di tempo, che il second five eighth, il numero 12 che oggi chiamiamo “primo centro”, doveva avere buone mani, piedi sensibili e ottima visione di gioco ma anche capacità di attaccare la linea, divenendo quasi un gemello del first five eighth, l’apertura. Di giocatori così ce ne sono stati di meravigliosi: Mike Gibson, Dan Carter, Matt Giteau, solo per citarne alcuni, tutti capaci di passare senza problemi dalla maglia numero 12 a quella con il numero 10. Altre scuole hanno invece preferito primi centri di impatto, capaci di attaccare la linea avversaria e assorbire difensori ma non particolarmente dotati nel muovere palla: il gallese Jamie Roberts è stato un tipico interprete di questo ruolo.

Franco Smith ha dunque compiuto una scelta precisa: Canna sa attaccare la linea meglio di quanto sappia fare Tommaso Allan, al quale spetta il compito di essere il primo regista della squadra. Contro una squadra come la Scozia questa potrebbe essere un’opzione in grado di offrire più varietà di soluzioni. Il XV del cardo è anch’esso reduce da due sconfitte di misura. Per un tempo ha messo in seria difficoltà l’Irlanda e contro l’Inghilterra, in un match d’altri tempi segnato dalla burrasca che imperversava sul Murrayfield, ha mantenuto il punteggio in parità prima di scivolare sulla più classica buccia di banana – un pallone mal controllato da Stuart Hogg che ha messo gli inglesi nelle condizioni di segnare l’unica meta della partita. La Scozia è così, gioca bene ma poi si perde in errori marchiani e finisce per perdere la bussola. Priva dei suoi giocatori più estrosi – fuori Finn Russell, per motivi disciplinari, e Darcy Graham per infortunio – deve affidarsi a un gioco a tratti brillante ma sempre discontinuo. Stuart Hogg, i cui guizzi hanno spesso creato scompiglio nelle difese avversarie, è reduce da un paio di errori madornali e si sente messo in discussione. Resta una squadra superiore rispetto all’Italia ma molte nubi si sono addensate sul suo cielo.

Italia: Hayward; Bellini, Morisi, Canna, Minozzi; Allan, Braley; Steyn, Negri, Polledri; Cannone, Zanni; Zilocchi, Bigi, Lovotti.

Scozia: Hogg; Maitland, Harris, Johnson, Kinghorn; Hastings, Price; Bradbury, Watson, Ritchie; Cummings, Toolis; Fagerson, McInally, Sutherland.

TV: Dmax, 15:15.

Gli altri match della terza giornata:

Galles-Francia (Dmax, 17:45)

Inghilterra-Irlanda: (Dmax, 16:00) in programma domenica.

Classifica: Francia e Irlanda 9; Galles e Inghilterra 5; Scozia 2; Italia 0.