Il Monte Bianco ha restituito ieri mattina anche il sesto corpo senza vita. Le vittime (tutte francesi, fra cui una donna) partecipavano allo stage organizzato dalla sezione alpinistica dell’Union nationale des centres sportif de plein air.
Il Soccorso alpino di Chamonix ha recuperato i sei alpinisti dispersi sull’Aiguille d’Argentière (quota 3.091 metri), versante francese del massiccio. All’alba, grazie a una schiarita, si sono mossi in elicottero e a piedi sulle tracce del gruppo. E dal rifugio d’Argentière (2.771 metri) è arrivata la tragica conferma della tragedia insieme alla ricostruzione della sfortunata spedizione: «Le condizioni alla partenza erano buone, la notte molto chiara. La guida, che oltretutto è maestro di sci, è esperta, e proponeva regolarmente quell’itinerario ai gruppi Ucpa. Poi però c’è stata una forte nevicata che potrebbe aver provocato un incidente. La cordata avrebbe dovuto rientrare nel pomeriggio. Purtroppo non tutta la zona è coperta dalla rete cellulare e quindi non siamo riusciti a restare in contatto con loro. Dovevano rientrare tra le 14 e le 16. Così alle 17, quando non li abbiamo visti, abbiamo dato l’allarme ai soccorritori». Ma il maltempo sul Bianco ha impedito le immediate ricerche dei sei francesi. Secondo le prime ipotesi, sarebbe stata la rottura di una valanga a causare la tragedia.
Il Monte Bianco è spesso sinonimo di morte. Come nel 1956 per Jean Vincendon, parigino di 24 anni, e François Henry, 22 anni, di Bruxelles. Partirono il 22 dicembre per passare il Capodanno sullo Sperone della Brenva. Durante il percorso incontrano Walter Bonatti e Silvano Gheser che si avviavano verso l’ascensione invernale della Via della Poire. Le due cordate si muovono alle 4 di Natale, ma sono sorprese da una tempesta: bivaccano 18 ore a 4.100 metri. Bonatti e Gheser approdano al rifugio Gonella dove vengono salvati il 30 dicembre dalle guide alpine. Gheser avrà alcune dita di entrambi i piedi e di una mano amputate. Vincendon ed Henry, che optarono per Chamonix, morirono dopo cinque giorni di freddo: i corpi furono recuperati nel marzo 1957.
Luglio 1961, versante italiano del Bianco. Un altro drammatico capitolo della storia dell’alpinismo moderno. L’«assalto» al Pilone Centrale del Freney con la sua parete di granito rosso difficilissima da scalare è l’obbiettivo di Walter Bonatti e Pierre Mazeaud. Si incontrano domenica 9 luglio al Bivacco della Fourche. Con loro Andrea Oggioni, Roberto Gallieni, Pierre Kohlmann, Robert Guillaume e Antoine Vieille, tutti rocciatori più che esperti. Ma a 120 metri dalla vetta, la cordata viene investita da un’improvvisa bufera di neve. Impossibile continuare: occorre trovare riparo nel rifugio Gamba. E a Courmayeur scatta l’allarme, mentre per tre giorni gli alpinisti bivaccano al gelo. A valle, per la prima volta, i mass media seguono “in diretta” il destino della spedizione sospeso fra la vita e la morte.

Tocca a Bonatti indicare la via della salvezza: tuttavia Vieille muore il 15 luglio ai Rochers Gruber, stremato. E la sera tocca a Guillaume che precipita in un crepaccio del ghiacciaio del Freney. Poi nella notte Oggioni perde la vita sul colle dell’Innominata, a meno di un’ora dal rifugio. I superstiti si avvicinavano lentamente provati dai cinque bivacchi in parete: Kohlmann crolla nella neve senza più speranza.
Alle 3 del mattino, Bonatti e Gallieni giunsero finalmente al rifugio Gamba dove trovano gli uomini delle squadre di soccorso. Subito dopo vanno a salvare, insieme, anche Mazeaud.